In Molise la ‘tendenza’ era chiara. Il giorno prima del voto sulla piattaforma Rousseau tutti – o quasi – gli esponenti del Movimento 5 Stelle, dagli amministratori comunali, ai consiglieri di Palazzo D’Aimmo, fino alla delegazione parlamentare, hanno dichiarato pubblicamente le loro ‘intenzioni di voto’. Sul caso Diciotti pochi dubbi: giusto concedere l’autorizzazione a procedere contro il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Insomma, tutti fedeli alla linea ‘originaria’ del Movimento, al mantra della lotta ai privilegi della casta e della separazione dei poteri. «Domani voterò no per dire sì all’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro degli Interni – scriveva qualche ora prima del voto il deputato Antonio Federico -, nessuno ed in alcuna circostanza può sentirsi mai al di sopra della legge. L’ho già detto pubblicamente quindici giorni fa e lo ripeto anche oggi. Non è in discussione la scelta politica, che può piacere o meno, ma piuttosto se si è davanti ad un reato o no. E non può essere la politica a fare questa scelta, non lo abbiamo mai accettato. ‘Quando si ha chiara la coscienza di esser nel giusto non si rifugge dal giudizio degli uomini’».
Invece la piattaforma degli attivisti – in 52.417 hanno ‘cliccato’ – ha decretato un altro verdetto: il 59,05% si è espresso contro il processo a Salvini.
Le reazioni del giorno dopo non sono improntate all’entusiasmo. C’è chi parla, senza dirlo apertamente, di tradimento ai principi fondanti del Movimento, uno ‘scivolone’ che potrebbe ripercuotersi anche sui prossimi appuntamenti elettorali.
«Preferisco non commentare – dice laconico il capogruppo dei pentastellati a Palazzo San Giorgio Roberto Gravina – devo ancora riprendermi». Lo stesso Gravina aveva infatti motivato pubblicamente la sua scelta di votare «convintamente no perché i processi si fanno proprio per capire se si è violata la legge, altrimenti neanche esisterebbero e altrimenti neanche si spiegherebbe il perché moltissimi processi ai politici arrivano ad assoluzione dell’imputato. Perché nella Magistratura o ci si crede sempre o altrimenti si rischia di fare quello che tutte le forze politiche hanno fatto negli anni scorsi».
Non nasconde la propria amarezza la consigliera regionale Patrizia Manzo: «Faccio parte di quel 40% – scrive – nessuno creda sia stato facile ma non dimentico le battaglie per l’uguaglianza, l’onestà e contro ogni privilegio. Ho fiducia nel sistema di contrappesi tra i poteri dello Stato a garanzia della nostra democrazia. Prendo atto che il 60% dei partecipanti ha scelto diversamente ma quando si decide di partecipare, ed io l’ho fatto, bisogna accettare i risultati».
Difende invece l’esito della votazione il portavoce dei 5 Stelle al Senato Fabrizio Ortis: «Nel rispetto del principio fondante del Movimento, la democrazia diretta, abbiamo chiesto il voto dei nostri iscritti sul caso Diciotti rispettandone il verdetto. A giudizio della maggioranza dei votanti, l’agire del Ministro dell’Interno era guidato dall’interesse pubblico nel contrasto dell’immigrazione e nella tutela della sicurezza nazionale. È questo che ci ha sempre differenziati dagli altri partiti e movimenti politici: l’ascolto della base, per la quale oggi c’è chi, per intorbidare le acque, grida allo scandalo. Sono fiero di poter far esprimere liberamente i nostri sostenitori – aggiunge Ortis – su questo come su altri temi delicati quali il contratto di governo, i programmi o la scelta dei parlamentari. Non posso non sottolineare come il numero dei votanti sia stato il più alto di sempre in una singola giornata, oltre 52mila persone, a conferma dell’importanza del coinvolgimento online e della partecipazione diretta».
Il senatore rispedisce al mittente, inoltre, le accuse ricevute dal Movimento di aver usato due pesi e due misure, quando a processo rischiavano di finire parlamentari “nemici” dei Cinque Stelle: «Se in passato ci siamo espressi per il sì all’autorizzazione a procedere – conclude Ortis – lo abbiamo fatto per accuse che andavano dalla corruzione alla concussione, non certo per l’esercizio delle proprie funzioni ministeriali sancito dall’articolo 96 della Costituzione. Non è un caso che la linea del Viminale sia stata apertamente condivisa dal presidente del Consiglio e dai ministri Di Maio e Toninelli».
Più cauta l’analisi del consigliere comunale di Palazzo San Giorgio Simone Cretella, l’unico dei 4 esponenti comunali ad aver votato ‘sì’ sottolineando, al contempo, la sua contrarietà a sottoporre la vicenda al giudizio della rete: «Mai così combattuto, fino all’ultimo minuto, per esprimere un voto – ammette -, al quesito sul caso Diciotti, così come formulato, alla fine ho risposto si, perché nel caso specifico mi sento di condividere la linea adottata dal governo e mirata a porre un freno ad un sistema, spesso indotto da interessi tutt’altro che umanitari, che per anni ha sfruttato il fenomeno migratorio, sempre sulla pelle degli ultimi, causando un numero impressionante di morti e dispersi, oltre che un modello scomposto di falsa accoglienza, del tutto irrispettoso della dignità dei migranti stessi. Senza voler considerare l’ipocrisia dell’incredibile clamore generato dalla vicenda ‘Diciotti’, solo perché infarcita di mille strumentalizzazioni politiche, a fronte dell’assordante silenzio che negli anni scorsi, con altri governi in carica, ha accompagnato sui fondali del mediterraneo migliaia di innocenti vittime di un fenomeno che sia il nostro paese che l’Europa non hanno mai voluto e saputo affrontare adeguatamente.
Un giudizio formulato, ovviamente, nella consapevolezza delle condizioni di sicurezza e assistenza alimentare e sanitaria mai venute meno a bordo della Diciotti in quei giorni.
Ancor più consapevole che la strategia adottata è stata sicuramente in linea con gli obiettivi del contratto di governo, nell’esclusivo interesse del paese.
Altri tipi di valutazioni mi avrebbero invece indotto ad esprimermi sicuramente in maniera opposta, soprattutto in considerazione del personale giudizio sul ministro dell’interno. Ma non era lui, né il suo stile, né il suo comportamento, al centro della consultazione online, bensì l’operato del governo che comunque non ritengo opportuno debba essere sottoposto al giudizio di un sondaggio sul web.
Bene avrebbe fatto il ministro Salvini a rimettersi spontaneamente, così come in un primo momento annunciato, al giudizio della magistratura, magari invitando i colleghi senatori, a partire da quelli del suo partito, a sostenere la procedibilità nei suoi confronti; sarebbe stata un’altra storia (e un altro stile…) , ma è evidente che ha preferito ben altro atteggiamento, certamente più pavido, evitando di mettere a rischio il momento fortunato suo e del suo partito. Questa considerazione però non può giustificare la trasformazione di un voto su un atto del governo in un voto di simpatia o di fiducia verso un ministro, chiunque esso sia.
Né una consultazione deve essere condizionata da calcoli o previsioni di tipo strategico o elettoralistico; per questi ci saranno altre e più importanti opportunità, almeno spero….
Avrei comunque preso atto e accettato serenamente qualunque esito della consultazione, voglio sperare che sia lo stesso per chi ha votato, con altrettante buone ragioni, diversamente».

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