Tra i protagonisti dell’assistenza sanitaria territoriale, il nuovo Patto della salute promuove l’infermiere, più precisamente: l’infermiere di famiglia e di comunità.
Una scelta che allinea l’Italia alle indicazioni dell’Oms che già dal 1998 aveva indicato la necessità di questa figura per raggiungere gli obiettivi di salute fondamentali per lo sviluppo dell’intera società.
A questa esigenza si aggiunge il dato specifico sulla cronicità, che caratterizza molto il Molise dal punto di vista del fabbisogno di salute ma attanaglia in generale tutta l’Italia, secondo Paese più anziano al mondo dove già oggi l’Ocse certifica un 20% di over 65. La sfida, dunque, è quella di attivare microteam di cura sul territorio gestiti dal medico e dalla nuovissima figura dell’infermiere di famiglia. Saranno loro ad assistere da vicino i pazienti alleggerendo il carico per gli ospedali.
L’infermiere di famiglia, secondo la definizione dell’Oms, è un manager capace di fornire assistenza, identificare e valutare lo stato di salute ed i bisogni degli individui e delle famiglie nel loro contesto culturale, prendere eticamente e deontologicamente decisioni e che sa utilizzare le varie metodiche di comunicazione. Prima della legge Balduzzi, che rappresenta la base
normativa dell’infermieristica di prossimità, nel 1996, la prima Regione italiana nella quale venne prima sperimentata e poi implementata la figura dell’infermiere di famiglia e comunità, fu il Friuli Venezia Giulia. A seguire, progetti pilota in Toscana, Lazio, Emilia Romagna, Puglia e Valle d’Aosta. Anche in Molise il percorso è stato avviato da un po’ di tempo dalla direzione Salute guidata da Lolita Gallo. In particolare c’è un progetto per introdurre l’infermiere di comunità nell’area del Matese.
Progetto accolto positivamente dall’Ordine delle professioni infermieristiche di Campobasso e Isernia il cui consiglio direttivo è presieduto da Mariacristina Magnocavallo. «La nostra regione, per le sue caratteristiche si presta alla definizione di risposte assistenziali tarate su microaree. Naturalmente – spiega Magnocavallo – molto importante è la formazione del personale, su cui intendiamo puntare in maniera significativa».
In sostanza, l’infermiere di famiglia entrerà a far parte di un micro-welfare territoriale, costituito dal medico di medicina generale che sarà il responsabile della clinica (clinical manager) e l’infermiere appunto che sarà responsabile del care manager: non erogherà prestazioni scandite nel tempo, nella durata e nelle modalità come avviene parallelamente per l’assistenza domiciliare o altri servizi territoriali; collaborerà con i professionisti del territorio, gestendo nel tempo l’utenza nella sua interezza, partendo dal contesto sociale, adeguando all’utente il percorso assistenziale, ai
tempi ed alle modalità assistenziali. La Federazione nazionale degli infermieri ha stimato il numero di nurse che mancano per le cure primarie in Italia: ne servono uno ogni 500 assistiti e cioè oltre 30mila in tutto. Di questi, 20mila infermieri di famiglia o di comunità previsti nel Patto, uno ogni 3mila pazienti. Da noi i numeri sono rispettivamente 174 e 116. In Molise, dove la sanità è ancora alle prese con un difficile riordino, questa nuova figura può costituire una chiave di volta. «Naturalmente comprendiamo come ci sia la necessità di risolvere prima le criticità riscontrate nell’assistenza per acuti, ma il modello territoriale che si sta realizzando – conclude Magnocavallo – ha dato già risultati importanti. Le case della salute di Larino e Venafro stanno infatti funzionando bene con la presa in carico del paziente cronico».
ppm

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