Mentre decine di imprenditori della ristorazione, titolari di palestre e associazioni sportive raggiungevano la sede del Consiglio regionale per protestare contro le restrizioni imposte dal Dpcm del 24 ottobre, a Palazzo Chigi il premier Conte varava il decreto ‘Ristori’. Indennizzi, veloci e immediati, rivolti in misura diversa e con percentuali variabili a seconda del tipo di attività alle categorie più colpite da questa seconda ondata pandemica. Il 200%, cioè due volte quanto ricevuto nei mesi passati per discoteche, sale da ballo e night club, piscine, palestre, fiere, enti sportivi, terme, centri benessere, stadi, cinema, parchi divertimento e sale bingo. A bar e pasticcerie il 150% di quanto già incassato. Ristori al 150% anche per alberghi, affittacamere per brevi soggiorni, case ed appartamenti per vacanze. I ristoratori saranno divisi in tre fasce di fatturato e prenderanno un importo medio rispettivamente di 5.173 euro, 13.920 euro e 25 mila euro. Così pure i teatri. E poi l’estensione di sei settimane della cig Covid, lo stop all’Imu e un nuovo credito d’imposta per gli affitti. ll decreto Ristori sarà rapido, semplice ed efficace e il contributo a fondo perduto sarà erogato automaticamente a chi lo ha già avuto. Per chi non ha mai avuto aiuti sarà attivata una nuova procedura. «Noi chiediamo certezze – incalza Paolo Santangelo dell’Apem – e al governo centrale, tramite quello regionale, di conoscere le motivazioni per cui queste attività debbano chiudere alle 18. Non risulta che il contagio si amplifichi per la frequentazione dei locali, abbiamo rispettato tutti i protocolli, il distanziamento, la sicurezza. Abbiamo speso fior di quattrini per adeguarci». Ed è questo il mantra che ripetono ossessivamente gli imprenditori che ieri pomeriggio hanno raccontato le difficoltà, le paure e le incertezze al presidente Micone, ai consiglieri Iorio, Greco e Manzo che li hanno incontrati fuori dal Palazzo. «Io chiedo certezze – spiega con determinazione Massimiliano Giglio, titolare di Pasky 2.0 -: ci volete far chiudere ma quando erogherete i fondi di sostentamento? Noi stiamo ancora aspettando quelli del Click Day, cara Regione Molise – incalza ancora -, siamo ancora in attesa di quelli e ora chiudiamo un’altra volta. E non diteci che la colpa non è la vostra ma è dello Stato». Massimiliano racconta con foga il dramma. E lo fa con esempi concreti. «Per fare un tampone ad un bambino, una famiglia aspetta una settimana: intanto, quel bimbo non esce quindi non può andare a scuola, non andrà a giocare a calcio e i suoi genitori non usciranno a cena fuori il sabato. Questa situazione la viviamo da settembre, il decreto ci ha ucciso definitivamente». E poi, se la maggior parte dei dipendenti pubblici e privati è in smart working, sottolinea «nessuno verrà a pranzo. Se raccomandi alla popolazione di non uscire, che senso ha tenere aperte le attività ? C’è la seconda ondata? Tutto chiuso o tutto aperto, senza restrizioni. Perché non è un problema solo dei ristoranti, anche molte altre categorie commerciali sono ferme». Come il gioco dell’oca, si fa un passo avanti – con sacrifici e investimenti economici – e poi tre indietro con la chiusura che potrebbe diventare definitiva per molte attività. «Vogliamo lavorare con gli stessi orari di prima e con il rispetto di tutti i protocolli, così come abbiamo fatto fino ad ora» dice il titolare di un pub del centro città. E c’è chi teme di non rialzare più quella saracinesca. «Chiediamo dignità e la riacquistiamo solo lavorando». I titolari di palestre e centri sportivi hanno partecipato alla manifestazione (che poi si è spostata davanti Comune del capoluogo). La narrazione è drammatica. Obbligati alla chiusura dopo uno spiraglio di speranza. «Qando hanno dato una settimana di tempo a chi non era in regola, ci sono stati migliaia di controlli. Non è stato sanzionato nessuno. Tutti in regola. Ma poi ci hanno fatto chiudere: lo avevano già deciso, dietro ad una scrivania, senza pensare che noi, con quel lavoro, manteniamo le nostre famiglie».
ppm

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