Cosa succede al nostro organismo quando contrae l’infezione da SarsCov2. A che punto è la conoscenza del virus e, quindi, l’affinamento della terapia. Ospite ieri sera di Fuoco incrociato, a queste e altre domande ha risposto Andrea Bianco: docente di malattie respiratorie all’Università Vanvitelli – Monaldi di Napoli. Per molti anni prof all’Unimol e fino al 2015 responsabile dell’unità di pneumologia al Cardarelli di Campobasso in virtù del protocollo fra l’ateneo e l’azienda sanitaria, Bianco in Molise è nome e volto noto.
Al Monaldi (che fa parte con il Cto e il Cotugno dell’azienda ospedaliera dei Colli) la sua attività clinica che riguarda la cura del Covid. «Ci sono 60 posti Covid con due unità di sub intensive, una unità di degenza pneumologia intermedia e una di terapia intensiva. Nella stessa azienda ospedaliera vi è il Cotugno che ha intorno ai 300 posti Covid. La situazione è pesante perché stiamo tornando a riempire tutte le postazioni purtroppo», è la fotografia del momento.
Cosa succede al nostro organismo quando ‘entra’ il nuovo coronavirus? «Chiarire questo aspetto è importante. Noi conoscevamo già i coronavirus, sono quelli del comune raffreddore, che attaccano le alte vie respiratorie, producono un po’ di fastidi al naso, in qualche caso un po’ di tosse. Questo virus entra nelle alte vie, si diffonde quindi molto facilmente, ma la sua caratteristica – ha sottolineato Bianco – è che riesce ad entrare nel polmone profondo, nelle basse vie respiratorie. E lì fa danni: produce polmoniti, insufficienza respiratoria e talvolta porta a morte il paziente. Per questo è così temibile e devastante. Il virus cioè va a danneggiare le zone a cavallo tra la parte in cui viene veicolata l’aria e la parte vascolare, per questo nei passaggi successivi provoca danni ad altri organi e in particolare al sistema cardiovascolare».
L’elemento predominante della malattia, ha aggiunto, è l’impegno polmonare e quindi l’insufficienza respiratoria, c’è comunque «un’ampia fetta di pazienti che vanno incontro ad eventi cardiovascolari come infarti massivi abbastanza fulminei» e si possono avere «anche eventi cerebrovascolari ed eventi di insufficienza renale acuta grave».
È passato quasi un anno dal primo caso riscontrato in Italia – la coppia di anziani turisti cinesi a Roma – e poco meno dal primo caso italiano di Codogno. «Sappiamo molto del Covid rispetto a un anno fa. Parte delle conoscenze è già applicabile. Parte, e mi riferisco agli anticorpi iperimmuni monoclonali che sono nella fase finale degli studi, si prevede che possa essere disponibile verso marzo, aprile. Non prima».
Le certezze, rispetto alla terapia: i corticosteroidi, eparina a basso peso molecolare, la vitamina D, la vitamina C che pure aiuta. Nelle fasi iniziali, ancora il prof Bianco, si preferisce utilizzare gli antibiotici, azitromicina, il che «potrebbe avere effetto di prevenzione per altre infezioni che potrebbero agganciarsi a quella da SarCov2», l’azitromicina però non ha un effetto diretto sul virus. Il suo consiglio è di utilizzare anche i mucolitici «perché creano una sorta di ‘mare agitato’ al virus nelle vie aeree, un dato non supportato da esperienze scientifiche su larghi numeri ma concettualmente ha senso in sé». Quanto al cortisone, la sua indicazione è di non usarlo troppo precocemente, «va usato verso la settima, ottava giornata perché bisogna lasciare all’organismo la possibilità di difendersi, produrre i propri anticorpi e poi, laddove inizia la tempesta citochinica, il cortisone, ovviamente valutando il singolo paziente». Sempre per la terapia domiciliare, importantissimo è avere in casa il saturimetro, «il campanello di allarme per decidere se ricoverare il paziente in ospedale. Una saturazione inferiore a 94 dovrebbe far attivare il processo per ospedalizzare». In ospedale, invece, si fornisce il supporto ventilatorio necessario: ossigeno (che nelle forme meno gravi si può somministrare a casa), ossigeno ad alti flussi, ventilazione meccanica non invasiva e in terapia intensiva ventilazione meccanica invasiva. Sempre in ospedale, solo in ospedale, «si può somministrare l’unico antivirale autorizzato che è il Remdesivir e andrebbe somministrato non oltre la decima giornata dall’inizio della sintomatologia».
Il tunnel è ancora lungo, ma si intravede la luce del vaccino. Il messaggio dello pneumologo Andrea Bianco, anche in questo caso è chiaro. L’immunità di gregge potenzialmente si raggiungerà con la vaccinazione di 40-50 milioni di italiani, non prima del prossimo autunno. «Dobbiamo perciò essere molto attenti in questi due mesi. Il virus circola, col freddo siamo portati a stare di più in ambienti interni e la capacità di difesa delle vie aeree si riduce. Se potessi dare un consiglio a chi decide direi di non abbassare i livelli di restrizione in questi mesi di freddo, così noi possiamo contenere l’infezione e il programma vaccinale potrà svilupparsi in maniera adeguata. Se avremo un altro picco importante, invece, anche il programma vaccinale salterà e rischiamo di essere condizionati dal virus anche il prossimo inverno». Quindi, «fare il vaccino e non considerarlo la soluzione a tutto. Fare il vaccino e mantenere il distanziamento, indossare la mascherina ed evitare gli assembramenti».

ppm

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