Non tanto il fattore stanchezza che, per quanto fisiologico, un militare addestrato a lunghe missioni all’estero riesce a gestire. Quanto lo straniamento di dover curare civili che non sono soldati feriti in operazioni militari, sono italiani colpiti dal Covid in questo caso.
Dario Carbone, formatosi alla Nunziatella di Napoli e specializzatosi in anestesia dopo la laurea in medicina, il 6 marzo di un anno fa fu fra i primi ufficiali medici a giungere in Lombardia, Alzano Lombardo in particolare.
Un anno dopo coordina il primo contingente dell’Esercito in Molise. Perché quell’emergenza non è rientrata e ha messo da qualche settimana fuori gioco la capacità del servizio sanitario regionale di garantire da solo l’assistenza negli ospedali.
Ieri un sopralluogo e un confronto con i dirigenti medici interessati, fra gli altri il primario della terapia intensiva a Campobasso Romeo Flocco e il responsabile del pronto soccorso del San Timoteo, che sta gestendo i posti Covid, Nicola Rocchia. Da oggi i camici bianchi militari sono operativi.
«Una prima attività di ricognizione, quella che noi chiameremmo una survey. Abbiamo preso gli accordi dal punto di vista tecnico operativo col personale direttivo dell’ospedale Cardarelli. Ci sono stati illustrati i loro percorsi che sono in linea con quelli del ministero della Salute per quanto riguarda la sicurezza e il bio contenimento. Anche noi stessi siamo stati già testati, siamo stati cioè sottoposti a tampone secondo i protocolli ordinari».
Come siete organizzati operativamente?
«Siamo cinque ufficiali medici, quattro attualmente impiegati nel polo di Campobasso e uno a Termoli. Siamo tendenzialmente tutti esperti di biocontenimento e di coronavirus. Io e un altro collega in particolare già dal 6 marzo dell’anno scorso siamo stati impiegati ad Alzano Lombardo. Siamo due specialisti in anestesia e rianimazione, due cardiochirurghi e un medico generico che si interessa di problematiche infettive. Saremo divisi: gli anestesisti per la parte della terapia intensiva e gli altri colleghi per la parte del reparto infettivo Covid, non intensivo»
Un anno fa la sua prima missione Covid in Italia. Quanto incide il fattore stanchezza, se incide?
«Come per una atleta che corre la resistenza viene colpita. Noi siamo abbastanza addestrati perché essendo ufficiali delle forze armate abbiamo un percorso tecnico operativo per cui anche il nostro impiego all’estero ci sottopone già a continui stress. Viviamo già questa realtà. È chiaro che viverla in Italia è un po’ diverso: avere come paziente un proprio connazionale civile è diverso da avere un soldato, un militare in Afghanistan o in altri teatri, in quei casi lo si mette in conto. Tolto questo aspetto, manteniamo le nostre posizioni. Dove serve noi diamo un supporto, non ci tiriamo indietro».
Intanto cinque medici, due anestesisti. Fra poco però dovranno essere attivati in Molise, per esempio, altri posti di terapia intensiva. C’è la possibilità che l’Esercito rafforzi la sua presenza in Molise per questa emergenza?
«Io personalmente non ho dati. Le posso dire che questa nostra prima tranche è arrivata per la forte volontà del ministro Guerini su richiesta della Regione. Abbiamo un comando di vertice operativo interforze che è il nostro comando per le attività sia in fuori area sia in nazionale, sono loro che ci ‘taskano’, ci danno cioè le posizioni. È chiaro che se la Regione dovesse richiedere un rafforzamento delle nostre capacità sicuramente le forze armate sono a disposizione del Paese e quindi siamo pronti a dare supporto».
r.i.