Vittoria Todisco

«Dichiaro io sottoscritto Giacomo Colombo d’aver ricevuto dal Signor Don Giovanni Gentile Arciprete di San Giuliano docati 16 e mezzo in conto di altri centocinquanta da pagarmisi, cioè altri centoventi di contanti, e altri venti per la celebrazione di messe cento ad così farsi la messa per una mia intenzione. Napoli 1724».
La festa era già nell’aria da giorni. Se ne percepiva l’arrivo dal brulichio insolito che animava il paese, dall’andirivieni di addetti comunali, dall’affannoso lavorio degli operatori delle associazioni culturali, dall’installazione di luminarie che correndo lungo via Roma attraversando Piazza della Libertà conducono fino al Municipio. San Giuliano del Sannio celebra il suo Santo, San Nicola, venerando con ancor più elevato sussiego la statua che da 300 anni lo raffigura e che con straordinaria veridicità esprime attraverso uno sguardo misericordiosamente protettivo il suo abbraccio paterno.
Le feste patronali si somigliano un po’ tutte attraverso un cerimoniale con il quale si intende coniugare il carattere religioso con quello culturale, folclorico, ludico. Ma la festa di San Nicola, a San Giuliano del Sannio, ha qualcosa in più che la contraddistingue dalle tante altre che rendono devozione al Vescovo di Myra acclarandole una unicità che va oltre quella dell’antica devozione al Santo che, secondo quanto narra la leggenda, ha personalmente scelto di patrocinare questa comunità allorché un carro di buoi che trasportava una sua statua, diretto a Guardiaregia, si è fermato sul posto senza alcuna possibilità che si potesse farlo proseguire, lasciando intendere che la volontà di Dio era che San Nicola rimanesse lì. Stiamo parlando di un passato assai lontano che vedeva le popolazioni prive di veri strumenti di difesa verso le ingiustizie, i soprusi e, che per allontanare dalle proprie esistenze il pericolo delle malattie, delle guerre, delle carestie e delle calamità naturali non aveva altre possibilità se non quella di votarsi ai santi.
Il culto di San Nicola di Myra – secondo quanto documentano scrupolose ricerche storiche – era già attestato nel Mezzogiorno italiano in date anteriori al IX secolo ma si propaga ancora di più a seguito di un’ardimentosa traslazione delle ossa del santo, avvenuta il 9 maggio del 1087 ad opera di 62 marinai baresi che partiti con tre navi raggiunsero Myra portando via le sacre reliquie. Il Vescovo Nicola nato a Patara nella Licia, in Turchia, intorno a 270 da una famiglia facoltosa era già noto per la sua santità e i numerosi atti di pura generosità e amministrazione di giustizia. L’arrivo a Bari e a Venezia delle sacre reliquie, la realizzazione di nuovi santuari ove custodirle e l’intensificarsi dei pellegrinaggi verso queste mete contribuisce ad unire in un unico afflato di fede l’Oriente con l’Occidente. Ma è il cammino che la devozione compie lungo le vie dell’erba, la transumanza, che accomuna anche dal punto di vista religioso la Puglia con il Molise e le altre regioni meridionali che il tratturo attraversa a propagarne il culto. La festa che si celebra l’8 e il 9 maggio, tempo addietro prolungata fino al giorno 10 (data successivamente spostata ad agosto per consentirne la partecipazione anche ai sangiulianesi che vivono all’estero), si appalesa come una straordinaria rappresentazione di fede che unisce le generazioni attraverso la condivisione di una tradizione secolare fatta di rituali antichi come la parata militare dei fucilieri che rendono onore al Santo scortando la processione armati di vecchi archibugi che sparano colpi a salve. Omaggio devozionale nato in forma spontanea, senza intenzioni di calcolo utilitaristico che oltre a connotare di folclore il clima della festa, le conferisce una unicità capace di farla resistere alla prova del tempo. La comunità sangiulianese è attraverso la festa di San Nicola che si affratella e celebra la propria identità culturale e religiosa assumendosi l’onere di adempiere ad un impegno di propagazione di incombenze comuni che rispettano la tradizione, utili nel tramandare il rito e travalicare tempo e spazi raggiungendo coloro che costretti dalla diaspora hanno abbandonato il luogo natio. Struggente la loro testimonianza, meritevole di elogio l’impegno con il quale partecipano alla questua utile, indispensabile, nel sostenere le spese per organizzare la festa. Attestazioni le loro rese più malinconiche da quando i testimoni diretti di quelle fatiche antiche, delle tribolazioni, e le miserie di un tempo non ci sono più e loro, i depositari di tali narrazioni, non hanno eredi ai quali quelle storie raccontare. Per loro costretti a rimanere altrove la festa di San Nicola è un ricordo carico di nostalgia, capace di animare suoni, immagini, luci, colori, odori e sapori e convalidare l’idea di appartenenza ad una comunità.

Un’opera nei cui occhi ci si specchiava e con la quale sembrava si potesse parlare

L’Amministrazione comunale e l’Associazione Culturale “Insieme” si sono molto adoperate nel sottolineare la straordinarietà della ricorrenza dei 300 anni dell’arrivo a San Giuliano della statua di San Nicola e esaltare il valore intrinseco e culturale dell’evento. L’opera realizzata dallo scultore napoletano Giacomo Colombo (nato in Veneto ad Este ed emigrato a soli 15 anni con l’intento di apprendere l’arte della scultura, a Napoli, dove rimarrà per l’intera esistenza) fu realizzata, come si apprende da un documento conservato nell’archivio parrocchiale di San Giuliano, nell’arco di soli tre mesi. L’Amministrazione e il gruppo di “Insieme” già con la pubblicazione del 2013 “Spari per un Santo. Culto e festa di San Nicola di Bari a San Giuliano del Sannio” a cura dell’antropologo Ernesto Di Renzo, Palladino Editore e, quest’anno, con la pubblicazione del volume di Gerardo Pecci: “Tra iconografia sacra e iconologia devota. Il gruppo scultoreo in legno policromato di San Nicola di Giacomo Colombo”, volume stampato presso la tipografia l’Economica di Campobasso, va dimostrando sensibilità e tutela nei riguardi di un patrimonio storico che oltre a trovare albergo nella coscienza collettiva rappresenta un titolo sul quale puntare per costruire visibilità al paese e dare impulso alla creazione di uno spessore educativo volto alla prosecuzione di studi e ricerche utili per le generazioni future.
Domenica 5 maggio si è tenuto l’incontro con lo storico dell’arte Pecci resosi illustratore di un viaggio nella storia dell’arte del Seicento e della prima metà del Settecento – l’epoca in cui operò Giacomo Colombo – in cui fiorì a Napoli il barocco quale suggestivo movimento estetico ideologico, movimento culturale certo non facile da analizzare per l’assenza di studi specifici ma che nel meridione si caratterizzò attraverso la presenza di botteghe e la fattura di numerose opere d’arte sacra, pittorica e scultorea che ancora abbelliscono e contraddistinguono molte chiese, sia nell’Italia Meridionale che in quelle che all’epoca facevano parte del vice regno di Napoli.
Chi era Giacomo Colombo? Uno scultore che a differenza dei tanti che si sono distinti con le loro opere non lavorava la pietra o il marmo ma usava il legno per realizzare statue. L’intera figura del nostro San Nicola è realizzata da un unico fusto di pero. Artista dal carattere discordante, quasi un imprenditore dei giorni nostri, che mette su una affollata e rinomata bottega ben frequentata dalla borghesia dell’epoca, esoso nella richiesta dei compensi, talmente ricco da praticare l’usura salvo poi convertire parte dei propri guadagni in messe allo scopo di ottenere indulgenze. Il nostro San Nicola e il gruppo scultoreo che lo rappresenta narra parte dei miracoli compiuti dal Santo ritenuto protettore dei bambini per averne riportato in vita tre che un ingordo macellaio aveva fatto a pezzi e messo sotto sale. Una raffigurazione che, nell’espressione del viso, la bocca semiaperta che lascia intravvedere i denti e la lingua sembrava quasi che parlasse, rispecchia lo stile e i dettami imposti dal Concilio di Trento che per la realizzazione di opere d’arte sacra che (imponeva) non solo di evidenziare un rigore formale in grado di far risaltare l’autorevolezza di santi e madonne quanto di evidenziarne l’importanza liturgica di valide interlocutrici tra il mondo reale e quello divino. Il San Nicola di San Giuliano va ammirato con lo sguardo di ieri in cui la diffusione delle immagini era praticamente inesistente e la raffigurazione dei santi era un evento sacro e misterioso, parlante, osservato com’era alla luce tremula delle candele.

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