Ha lasciato la cella del carcere di via Cavour, dove si trovava recluso dallo scorso febbraio, ed ha fatto ritorno a casa (ai domiciliari), l’indiano arrestato inizialmente dagli agenti della squadra Mobile di Campobasso con l’accusa di sfruttamento dell’immigrazione clandestina. La decisione è stata presa nelle scorse ore dai giudici del Tribunale del Riesame di Campobasso. A presentare l’istanza (tecnicamente un Appello al giudici delle Libertà) era stata l’avvocato dell’uomo, il legale Maria Assunta Baranello. E i giudici, accogliendo l’istanza, hanno dunque concesso i domiciliari all’indiano. A quest’ultimo è stato applicato il braccialetto elettronico. Nel frattempo, nelle scorse settimane, è stata anche fissata la data del processo. L’uomo infatti dovrà presentarsi in aula il prossimo ottobre. Per lui è stato chiesto il rito immediato. La vicenda che lo ha fatto finire dietro le sbarre è venuta a galla, come detto, a febbraio quando è stata data esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal giudice Teresina Pepe, nei confronti dell’indiano (S.T. le iniziali del 47enne) regolarmente soggiornante sul territorio nazionale. Le indagini, coordinate prima dal Sostituto Procuratore Di Petti e poi dal Sostituto Procuratore Papa, hanno avuto inizio da controlli sulla presenza di cittadini indiani in stato di clandestinità sul territorio della provincia. Gli accertamenti hanno consentito, all’epoca delle indagini, di appurare che cittadini indiani, entrati regolarmente sul territorio nazionale, successivamente venivano, dall’arrestato, avviati alla clandestinità. Lo stesso, infatti, dopo l’ingresso in Italia dei connazionali, tratteneva i documenti necessari per la loro necessaria regolarizzazione. L’arrestato stando alle accuse mosse dagli inquirenti, usando una fitta rete di complici presenti anche nel paese d’origine, prendeva contatti con famiglie poverissime e, dietro pagamento di circa 10.000 euro, prometteva l’ingresso regolare in Italia e la garanzia di un lavoro a tempo indeterminato. Le persone fatte entrare nel nostro paese in tal modo, venivano poi avviate alla clandestinità e costrette a vivere, sempre stando alle accuse, in condizioni disumane, dimorando addirittura nelle stalle dove accudivano il bestiame e bevendo nello stesso abbeveratoio degli animali e mangiando ogni 4 – 5 giorni. Di fatto, erano ridotte in assoluto stato di schiavitù. Se cercavano di fuggire, venivano riportati indietro e picchiati selvaggiamente per evitare il ripetersi della fuga. Il coraggio di alcune di queste vittime, che denunciarono l’accaduto, consentì all’Ufficio Immigrazione di verificare le procedure poste in essere dal 47enne indiano, sia in ambito provinciale che nel proprio paese d’origine. Grazie all’attenta e continua attività dell’Ufficio Immigrazione, l’indiano fu arrestato con l’iniziale accusa di sfruttamento dell’immigrazione clandestina. Per gli inquirenti era lui ad organizzare il viaggio per decine di suoi connazionali con la connivenza di alcuni datori di lavoro italiani e di diversi basisti in India. Ieri, come anticipato, l’indiano ha lasciato il carcere ed è stato confinato ai domiciliari con il braccialetto elettronico. In attesa del processo con rito immediato che prenderà il via il prossimo ottobre.

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