Le ultime ore del 2019 le ha trascorse ancora una volta sui media nazionali. Fra i parlamentari morosi, stavolta sul Corriere della Sera, nonostante abbia tirato fuori i bonifici. E nonostante, quando già era stato tirato in ballo in una polemica che rischia di travolgere il Movimento 5 stelle, Luigi Di Marzio, abbia versato le ultime due quote di restituzione dall’indennità (2mila euro per novembre e altrettanti per dicembre) e l’ultima donazione a Rousseau (300 euro per dicembre).
Durante una recente riunione con Di Maio, quando è stato sollevato il caso restituzioni, pare che sia stato assodato che la situazione del senatore molisano fosse risolta. Ha ricevuto come tanti altri la richiesta dello ‘staff’ di mettersi in regola entro il 31 dicembre. Sul sito ‘tirendiconto.it’, invece, risulta che non versa da ottobre 2018. Non ha caricato sul portale le cifre e i bonifici. Ma ha pagato. «Solo che nessuno lo precisa. E nessuno mi ha risposto. Nella mia lettera allo staff avevo chiesto di farmi sapere se devo restituire altro dichiarando che lo farei immediatamente. Allora, o sono in regola oppure non mi si risponde per far continuare a dire che non sono in regola».
La chiacchierata termina con la sensazione che l’uscita di Di Marzio da M5s sia questione di ore o di giorni. L’ex ministro Fioramonti ha lasciato il 30 dicembre. L’approdo al gruppo Misto anche per il direttore sanitario del Cardarelli è vicino. Nessuna riflessione sulle sconfitte e i voti persi, voti di chi aveva creduto nel cambiamento. Non intende più «premere bottoni per conto terzi».
Rivendica di non aver bisogno della politica per campare, anzi il reddito imponibile (al netto delle restituzioni) è diminuito. Rivendica di non aver mostrato voglia di tornare in Parlamento: la sua dichiarazione sul «mezzo ospedale» cui avrebbe diritto il Molise in base agli abitanti non gli ha portato certo consenso. Invece, dopo che ha firmato la richiesta di referendum sulla legge taglia parlamentari, è proprio questa l’accusa che anche nel Movimento e pure a livello locale gli muovono. «Che ci si permetta di classificarmi come poltronaro è una cosa che non consento a nessuno. Uno che non ha mestiere o continua a fare il politico, e quindi a prendere uno stipendio, oppure va a distribuire i santini davanti al sagrato dell’oratorio. Io non ho bisogno di tutto questo. Evidentemente la gente giudica gli altri da se stessa», è la replica tranchant di Di Marzio.
Torniamo al 2018, senatore. Quando si è candidato…
«Mi fu chiesto di candidarmi».
Sì. In tanti comunque si chiesero cosa c’entrasse lei col Movimento.
«C’entravo molto nella sostanza. Non ero iscritto, per la semplice ragione che l’iscrizione serve solo per candidarsi e siccome non mi passava neanche per l’anticamera una cosa del genere non ero iscritto. Condividevo però una serie di affermazioni di principio che non potevano non essere condivise da qualsiasi persona perbene. Quando si parla di onestà credo sia difficile non condividere. L’idea che la politica tradizionale aveva pensato ai propri interessi invece che a quelli del Paese è un’idea pienamente condivisibile. Per questo accettai la richiesta di candidarmi. Ma onestà significa prima di tutto onestà intellettuale, non basta non rubare, quello è il minimo sindacale. E onestà intellettuale significa premiare il merito, conoscere, capire, studiare, affrontare alla radice i problemi, le cause e non le conseguenze. Per esempio: il problema non è la prescrizione, è la durata dei processi. Indipendentemente da quelli che usano la prescrizione per allungare il brodo, qualunque cittadino desidera avere nel più breve tempo possibile una risposta al suo diritto di giustizia. Se i processi arrivano a sentenza rapidamente il problema prescrizione non esiste più. Dicevo, dunque, accettai di candidarmi per occuparmi delle soluzioni ai problemi del Paese, in particolare per l’ambito sanitario ma non solo. Motivi ideali, a fronte dei quali mi sono trovato invece a dover premere dei bottoni per decisioni prese da altri».
Quando ha cominciato a maturare la sua riflessione critica?
«Il 29 maggio scorso, intervenendo all’assemblea congiunta dei gruppi, parlai di una lettera riservata che avevo inviato a Di Maio già mesi addietro, dunque molto prima della mazzata delle europee. Al capo politico avevo fatto presente, fra le altre cose, come fosse evidente che nella scelta dell’esecutivo fossero prevalsi meri motivi di appartenenza e non le ragioni di competenza e trasparenza che sono state sempre pubblicamente millantate come cifra distintiva dell’etica del Movimento».
Sulla sanità nella stessa assemblea non risparmiò critiche all’allora ministro Giulia Grillo.
«Sì. Una serie di cose ha portato a stanziare alcuni miliardi a favore della sanità privata defiscalizzando le polizze assicurative di malattia, l’esatto contrario di quello che avevamo sempre detto. Se ci sono risorse bisogna indirizzarle per far funzionare il sistema sanitario pubblico. Che non vuol dire accontentare le pretese dei campanili, attenzione. Al Ministero i funzionari sono rimasti allibiti quando mi sono recato a parlare con loro: i politici in genere vanno lì per dire mi serve qualcosa, io sono andato a dire che serve fare ordine in Molise, non è possibile che una regione di 300mila abitanti abbia oltre 10 strutture sanitarie di ricovero, perché questo rende la sanità pubblica fragile, debole, incapace di competere e facilmente oggetto della egemonizzazione da parte di chi persegue i suoi legittimi interessi che però contrastano con quelli dei cittadini che hanno diritto ad avere una sanità pubblica che funzioni a favore dei malati, né a favore della politica né tanto meno a favore di chi ci lavora dentro. Anche in sanità mi aspettavo cose che non sono successe, anzi mi sono trovato a vedere assecondate le ragioni dei campanili perché quando si sta al governo non si può dire di no a nessuno».
La goccia che ha fatto traboccare il vaso?
«La vicenda del referendum. Dopo aver votato per disciplina di movimento il taglio dei parlamentari – ero in dissenso perché è una sciocchezza pensare di dover risparmiare sulla democrazia, chiudiamo il Parlamento e si risparmia molto di più, mentre è molto più ragionevole ridurre gli emolumenti di tutti gli eletti – ho ritenuto di dare la parola agli italiani. Dovrebbe essere scontato che sono quelli che hanno l’ultima parola, quando si predica l’uso del referendum come strumento di democrazia. E che motivo c’è di dubitare dell’esito visto che siamo convinti di aver fatto quello che gli italiani vogliono? Anziché vedere riconosciuto il rispetto dei principi del Movimento, sono diventato il reprobo che vuole che rimangano le poltrone, che comunque non riguarderebbero me. Del tutto casualmente, dopo tutto ciò, viene fuori che il senatore Di Marzio non restituisce».
Lei invece restituisce.
«Ho sempre restituito ciò che mi è stato chiesto, se c’è da restituire altro perché ci sono modi di fare i conti che io non voglio neanche sapere – l’uso degli scontrini è cosa che non mi appartiene, la storia è piena di gente che usava gli scontrini per farsi i fatti propri – mi dicano quello che devo restituire. Gliel’ho scritto, ad oggi io non ho ricevuto nessuna risposta. La mia posizione, per quanto mi risulta, è assolutamente in regola: tutto quello che hanno chiesto hanno avuto, tutto quello che mi chiederanno avranno. Però nessuno si è peritato di precisare l’eventuale differenza fra me e gli altri».
Fioramonti ha dichiarato che il sistema delle restituzioni è poco trasparente. E fra i parlamentari le richieste di spiegazioni o maggiore chiarezza sono ormai numerose.
«Guardi, mi hanno dato un consiglio di lettura. Mi hanno scritto: leggi questo libro (è ‘Il sistema Casaleggio’ di Biondo e Canestrari, ndr). L’ho comprato e lo leggerò approfonditamente».
È con un piede già sull’uscio, senatore.
«Il meccanismo è costruito in modo tale da impedire qualsiasi forma di dissenso. Io non dico di tornare al Movimento che faceva opposizione, ma al Movimento che credeva nei principi di onestà intellettuale che vuol dire, ripeto, trovare una risposta ai problemi del Paese all’interno di una cornice che è necessariamente europea e planetaria. Auspicavo un cambiamento di rotta, in assenza del quale non sono io che mi pongo fuori dal Movimento, è il Movimento che si è posto fuori dai propri principi. Visto che firmare per il referendum è un atto riprovevole…. Mi spingono ad andare altrove. E quell’altrove, eventualmente, sarà il gruppo Misto, che è il cimitero degli elefanti dove sicuramente non si ha nessuna possibilità di essere ricandidati ma si continua ad assolvere il mandato ricevuto da quelli che non votano più il Movimento 5 stelle».
rita iacobucci

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