È scontro aperto tra editori e governo sui fondi pubblici all’editoria. Si tratta di un tema estremamente articolato e complesso, in cui sono coinvolti direttamente e indirettamente tutti gli attori della filiera editoriale.
In molti sostengono l’importanza del contributo pubblico per sostenere le piccole realtà editoriali (io mi annovero tra quelli), per tutelare la libertà di stampa e favorire l’innovazione e l’occupazione giovanile. In molti chiedono l’abrogazione dei finanziamenti, considerati come uno spreco di soldi pubblici e una forma di controllo da parte del governo sulla libertà di stampa. Personalmente sono a favore del finanziamento pubblico per le piccole realtà editoriali, erogato con modalità tassativamente previste dalla legge, affinché possa garantire, di fatto, la pluralità delle informazioni e delle opinioni, nella conseguente tutela dei giornali più piccoli e nel riequilibrio di una disparità che deriva dai grandi investimenti pubblicitari.
Ho sempre ritenuto che la libertà d’informazione sia epistilio della Costituzione, essenziale per la sopravvivenza della democrazia e sia necessario contrastare qualsiasi tentativo di indebolirne l’autonomia difendendo i valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione da bavagli e censure di ogni natura e colore politico.
Ho sempre pensato che una stampa credibile dovesse essere sgombra da condizionamenti di natura privata. L’incondizionata libertà di stampa costituisce il cardine del giornalismo libero. Di quel giornalismo che Pippo Fava riteneva dovesse essere anche etico. Eticità da intendersi come valore fondante di una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, dove il giornali-smo rappresenta la forza essenziale della società. Fava sosteneva a ragione che un giornalismo fatto di verità impedisse molte corruzioni, frenasse la violenza e la criminalità, accelerasse le opere pubbliche indispensabili e pretendesse il funzionamento dei servizi sociali. Un giornalismo libero tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo.
La sola strada che abbiamo da percorrere è quella di un giornalismo che sappia coniugare diritto all’informazione e consapevolezza della dignità di ogni essere umano, che sappia denunciare i mali ma che voglia indulgere anche alle miserie umane che sono sottese a questi mali.
È bene precisare, a scanso di equivoci, che i finanziamenti pubblici all’editoria riguardano solo il 10% della stampa italiana, composto essenzialmente dai grandi giornali spesso organi dei partiti politici. Il restante 90% non riceve contributi diretti. L’aiuto statale a mio giudizio è una garanzia alla libertà di stampa quando, di fatto, mette tutti i media nella condizione di poter esprimere le liberamente proprie idee. Ma quando la concentrazione dei giornali e dei media è nelle mani di pochi, allora, c’è una preoccupante tendenza all’omologazione e gli aiuti statali non sono più garanzia di libertà, ma spesso la limitano all’interesse politico o economico che lega l’imprenditore alla politica. Ecco perché sarebbe il caso di ridefinire i finanziamenti ai grandi editori e incoraggiare all’opposto le nuove iniziative, l’innovazione e la concorrenza a favore dei piccoli editori che a oggi sono quasi inesistenti.
L’informazione e l’editoria devono essere controllate dai cittadini e non dai partiti o peggio dai padroni e non possono non essere finalizzati al bene comune e non al profitto o al tornaconto politico.
Il giornalismo non può essere selezionato solo dalle regole di mercato e/o dalla pubblicità ma deve essere governato da principi di apertura e non di selezione naturale tra le aziende più forti.
Termino ipotizzando una riforma che parta dal sostegno pubblico garantito dai cittadini alla cultura “fuori mercato” e che sia indirizzata a beneficio delle tante iniziative di micro editoria, riviste locali, radio e tv regionali, librerie di quartiere e tante altre migliaia di piccole voci che sono la vera ricchezza culturale del Paese, e che per le loro dimensioni non riuscirebbero a stare “sul mercato” pur rappresentando un indispensabile complemento all’editoria di massa, alle testate nazionali, ai network radiotelevisivi e alle grandi catene librarie.
Vincenzo Musacchio

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