Alla Comunità tutta dell’Alto Molise

 

Buon 1053° Compleanno (anagrafico), Macchiagodena!

(5 maggio 964 d.C. – 5 maggio 2017)

 

Nel secolo X si scrisse per la prima volta di Macchiagodena

 

A cura di Filippo Ungaro

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Correva l’A.D. 964, data di rilievo per la storia dell’Alto Molise, quando i potenti Reggenti dei Ducati longobardi di Benevento e Capua (i fratelli Pandolfo I “Capodiferro” e Landolfo III) affidarono, con Diploma di Concessione del 5 maggio, al “Comes” Landolfo (figlio di Landenulfo ed a loro legato da vincoli di parentela, come cugino)) la Contea di Isernia, compresa, all’incirca, tra le valli dei fiumi Trigno, Sangro e Volturno.

L’Atto della Concessione (“Scriba” ne fu Adelchis), avvenuta anche per “petitio” (richiesta) del Vescovo isernino Arderico, cointeressato indirettamente per i riflessi che il documento avrebbe avuto sulla Diocesi, fu riportato dal Dottor Giovanni Vincenzo Ciarlanti, Arciprete della Cattedrale d’Isernia, nelle sue “Memorie historiche del Sannio”, al terzo dei cinque volumi, editi nel 1644 per i tipi di Camillo Cavallo.

Nella pergamena (custodita nell’Archivio Capitolare di Isernia) risulta che il beneficiario Landolfo ebbe, dunque, a tutti gli effetti e con diritto ereditario, la Contea isernina, “ad havendum atque possidendum et fruendum et dominandum vos et heredibus vestris”(cfr. G.V. Ciarlanti, op. cit.). La Concessione (prima, in ordine di tempo, per l’affidamento di un feudo a laici nell’Italia meridionale) non fu un atto di solidarietà di parentado o di liberalità da parte dei Principi di Benevento e Capua, bensí il frutto di un consapevole calcolo strategico-politico, teso a rinforzare i confini settentrionali del Ducato longobardo, mediante l’assegnazione della Contea a persone fidate, al fine precipuo di limitare l’invadenza ostile del Duca di Spoleto, che ambiva all’aggregazione della parte settentrionale del territorio molisano.

La Contea d’Isernia risultava divisa, nell’Atto “de quo agimus”, in tre parti, delle quali la prima sanciva, di fatto, l’espansione della stessa (ai danni di una discreta fetta della confinante Contea di Bojano) fino alle località di “Colle petroso” (Castelpetroso) e delle “Maccle qui dicuntur de Godini” (Macchiagodena).

Dunque, la pergamena del 5 maggio 964 d.C. segna, “ut ita dicam”, la nascita “ufficiale”, poiché testimoniata da pubblico documento, di Macchiagodena, la quale, pur di molto più antica per la presenza nel suo territorio di vari e preziosi reperti archeologici dei secoli VI-V a.C., per la prima volta, nel procedere della storia, viene citata con il suo primitivo toponimo delle “Maccle” ( boschi) di “Godini”, termine, quest’ultimo, oggetto di varie interpretazioni, non ultima quella, alquanto dubbia, che lo identifica nella parola osca “Akudumnia”, ovvero in quella Aquilonia ch’era la “sacra aedes” del Supremo Sacerdote dei Sanniti.

Ritengo, a titolo personale, che possa ipotizzarsi anche un’altra e più semplice interpretazione del termine “Godini”. Premesso che le popolazioni barbariche dei Goti s’insediarono con una certa consistenza demografica nel Sannio Pentro (secc. V-VI d.C.), antecedentemente all’arrivo dei Longobardi (cfr. G. Morra, “L’Alto Medioevo nel Molise”, in Annali del Molise, 1982, pp. 132) e che la loro Divinità principale era Odino (germanico “Wodan”, con la variante longobarda “Godan”), nulla vieta di pensare che le “Maccle…de Godini”potrebbero essere i boschi di “Wodan” o di “Godan” (Odino) , tanto è vero che il toponimo di Macchiagodena, in un documento successivo del 1003, risulta essere semplificato in “Maccla Godani”, vale a dire “le boscaglie di Godan”. Se l’interpretazione fosse esatta, risulterebbe che Macchiagodena era, “praeterito tempore”, un’area montana caratterizzata dalla presenza gotica e dal culto di Odino.

Nel corso della cristianizzazione dei barbari la venerazione di Odino, antenato eponimo dei Goti, non si estinse, come intatto rimase il culto dei boschi sacri a lui, denominato anche“Il vecchio della montagna”. E di monti e vasti territori boschivi non difettava, di certo, Macchiagodena…

Non sarebbe da escludere che i Longobardi, subentrati ai Goti, abbiano conservato, anche “in scriptis”, la consuetudine precedente (consolidata dalla vaga espressione “qui dicuntur”) di indicare le alture boschive di Macchiagodena come sacre sedi del Dio germanico. La mia è soltanto, ripeto, una congettura, poiché non si dispone, purtroppo, di documenti probatori in merito.

Con il passare del tempo e con il verificarsi di vari e successivi accadimenti, le “Maccle… de godini” furono denominate nel seguente modo: “Maccla Godani” (doc.to longobardo del 1003); “Castri Macclagodani” (rif.to al 1254, sotto il regno di Corrado IV); “Castrum Maccla Godino”(1296); “Maccla Godina” (1300 ca.) e, infine, “Macchiagodena”, a decorrere dal secolo XVI.

Il toponimo citato nella Concessione di Pandolfo I e Landolfo III, nonché la relativa data, di grande interesse per le vicende dell’intero“Comitatus Aeserniae”, sono da considerarsi determinanti anche per l’aggregato territoriale di Macchiagodena, poiché segnarono, in virtù di un documento (pur redatto in un latino non chiaro, perché profondamente involuto ed approssimativo), l’inizio della storia testimoniale di un paese che, confermo, risulta molto più antico rispetto ai suoi natali “ufficiali”, per così dire, del secolo X d.C., in quanto sanciti dall’importante pergamena del 5 maggio 964.

In tal senso particolare, felice genetliaco (1053°), o Macchiagodena!!!

 

Datum “Maccle… de Godini”, die V mensis Maii a.D. MMXVII

Filippo Ungaro

 

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