Il “Centro Studi Molisano” presieduto da Giuseppe Reale si onora di ricordare la figura di Giacomo Sedati nel centenario della nascita attribuendogli il “Premio San Giorgio 20/21” giunto alla IX edizione, conferito a personaggi che si sono distinti in ambito professionale, artistico, scientifico, storico, giuridico e di impegno sociale, dando lustro alla regione e favorendone il cammino identitario.
Parlamentare della Democrazia Cristiana per nove legislature, dal 1948 fino alla sua repentina morte, avvenuta l’11 gennaio del 1984, Giacomo Sedati è stato un indiscusso protagonista della scena politica nazionale ed europea, nonché l’artefice del lungo processo di autonomia della Regione Molise. Parlarne significa compiere un viaggio nella storia. È appunto addentrandosi lungo il percorso che va a ritroso nel tempo che si comprendono le legittime aspettative di sviluppo che anche il popolo molisano nutriva all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, all’epoca erano ancora troppe le ferite da rimarginare, i lutti, le divisioni sociali, piaghe che andavano contrapponendosi ai sogni e alle aspirazioni esistenziali della popolazione. Aspirazioni non di meno sminuite dalle ansie, dalle delusioni che rendevano quel processo di rinascita difficile se non irrealizzabile, considerato lo scenario di un Paese distrutto che andava ricostruito comprendendo, in questo difficile progetto architettonico, anche il recupero del senso morale della gente.
Giacomo Sedati appare l’uomo giusto al momento giusto e come scrive la redattrice de “Il Popolo”, Clelia d’Inzillo, annoverabile tra coloro che costruiscono in qualsiasi ambito siano chiamati ad operare. Con ciò non si intende rappresentarlo come un personaggio spuntato dal nulla, come accade oggi nel mondo della politica italiana. Giacomo Sedati non si improvvisa nel ruolo di guida nel realizzare quelle aspirazioni di cui parlavamo pocanzi, prospettiva di per sé onorevole, carica di un intrinseco valore aggiunto, rispetto alla mission praticata di questi tempi, tesa alla salvaguardia dei propri interessi personali piuttosto che indirizzata verso il raggiungimento del bene comune. E neppure si può circoscrivere al solo ambito dell’agricoltura il suo impegno costituzionale che invece spazia per concretizzare il bisogno di un rinnovamento della politica in ambito nazionale, europeo e anche locale. L’Onorevole di Riccia, divenuto tale giovanissimo, a soli 27 anni nel 1948, si è avvalso di una severa disciplina indirizzata all’apprendimento del sistema politico attraverso una intensa e lunga preparazione e il saggio di Massimiliano Marzillo, “Giacomo Sedati il Ministro della Ricostruzione” Edizione dell’Orso, rappresenta un’importante guida per compiere uno studio appassionante ed esaustivo su questa figura e il periodo storico di riferimento.
La famiglia. Il racconto che ne fa Marzillo, inedito, irripetibile oltre che ineccepibile dal punto di vista storico politico – nato dallo studio de il fondo dell’Istituto “Luigi Sturzo” e grazie all’apporto fornitogli da Nicola Sedati che gli ha messo a disposizione scritti e lettere private di suo padre – senza sminuirne il valore saggistico si può dire che affascina quasi fosse il copione di un film. Un film che ha come soggetto il tema della cosiddetta questione meridionale. Con un distinguo però poiché nell’ambito molisano il rapporto tra “Baroni e contadini” – per dirla con Giovanni Russo attingendo al suo romanzo divenuto un classico della letteratura meridionalistica – vede la storia che riguarda Giacomo Sedati, Riccia e la sua famiglia operare in un’ottica capovolta rispetto ad una diffusa storiografia letteraria e cinematografica che registra lotte tra padroni e mezzadri impegnati nella contesa di terre e profitti. Nel caso in questione, i personaggi riccesi, tutti, sono uniti da un patto di solidarietà per migliorare e modernizzare l’agricoltura molisana malata di atavica arretratezza resa ancora più critica al termine della guerra. Depressione che minando il rendimento condannava alla fame e di conseguenza all’abbandono delle terre per un’irrisolvibile condizione di povertà che espropriava il territorio dei suoi abitanti attraverso una storica quanto lacerante diaspora.
Abruzzi e Molise erano una sola regione quando, solo per caso, Giacomo Sedati nasce a Lanciano, paese di origine della madre, Elisa de’ Giorgio, tornata in Abruzzo per essere accudita in famiglia al momento del parto. Era il 25 agosto del 1931. Suo padre originario di Riccia, l’avvocato Nicola Sedati, nonostante svolgesse l’attività forense a Napoli si interessava anche dell’amministrazione dell’azienda agricola di famiglia già affidata a suo fratello Giambattista il quale, colpito da morte prematura e senza eredi, lo rende figlio unico costretto a lasciare Napoli e rientrare a Riccia per prendere in mano le redini dell’azienda familiare.
I Sedati sarebbero stati – se non fosse per la presenza nel loro gruppo sanguigno di una molecola che li rendeva inclini alla politica – padroni di terre e servitori vivendo di rendita. Invece le radici contano e la famiglia Sedati non aveva alcuna necessità tanto meno l’ardire di farsi mantenere dal sudore dei contadini. Infatti, il nonno dal quale il nostro parlamentare eredita il nome era uno stimato chirurgo; per non parlare di un altro Giacomo, vescovo di Larino dal 1530 al 1539, e delle altrettante nobili ascendenze alle quali attingeva sua madre. Ed è la casa di Riccia il luogo dove si plasma la formazione educativa e culturale dei rampolli Sedati: Giacomo, suo fratello Pietro di due anni più giovane divenuto medico come il nonno paterno, la sorella Virginia laureata in Lettere. I primi anni sono affidati alla cura di un’austera e severa istitutrice proveniente da Trieste, una sorta di signorina Rottermeier, figlia di un ammiraglio della Marina asburgica rimasta anche in seguito in famiglia, poi l’asilo svizzero e infine Napoli crocevia fecondo per la formazione del giovane Giacomo verso le tematiche istituzionali. La famiglia, rientrata in Molise dopo la morte dello zio Giambattista, vede il futuro onorevole frequentare il Liceo Mario Pagano e contemporaneamente appassionarsi alle tematiche dell’agricoltura sotto la guida del padre divenuto nel frattempo imprenditore a tempo pieno di un’azienda sempre più votata verso la modernizzazione tecnica e meccanica. La famiglia dunque, con le sue straordinarie ramificazioni, offre al futuro parlamentare l’opportunità di maturare tematiche e conoscenze che ne arricchiscono il bagaglio culturale e umano.
La politica. Parliamo tuttavia di un tempo, quello successivo al periodo fascista, difficile per l’intero Paese e ancora più duro per il negletto Molise che vede una ampia parte della popolazione indifferente rispetto agli avvenuti accadimenti politici e servile nei riguardi dei nuovi esponenti intenti al cambio di casacca alla ricerca di una rinnovata identità per continuare a trarre profitti e potere dalla cosa pubblica. Il giovane Giacomo Sedati che nello zio Giuseppe Spataro, vice segretario nazionale del Partito Popolare e stretto collaboratore di Alcide De Gasperi, trova il mentore per la sua formazione va avanti spedito nel suo percorso. Le elezioni politiche del 1948 lo vedono compiere il salto dalla lontana provincia molisana al Parlamento, un trionfo sancito dai 41mila 458 voti di preferenza. L’impegno istituzionale lo rende protagonista in ambiti amministrativi, anticipatore di istanze, prolifico dispensatore di innovazioni e di relazioni che lo portano a considerare l’Europa terra comune per una politica di sviluppo comune e condivisa.
Si incontrano luci ed ombre nell’analizzare il percorso istituzionale di Sedati. Ombre generate non solo dagli avversari di contraria ideologia che, però, non possono non riconoscerne la rettitudine, la laboriosità e la competenza profusa nell’ambito politico. Più laceranti sono quelle alimentate dalle gelosie maturate tra coloro che militano nel suo stesso partito, quella Democrazia Cristiana sempre più divisa da correnti e personalismi, critiche, che originano nei confronti di Sedati (che a 24 anni era già sindaco di Riccia, fondatore de “Il Popolo del Molise” ed esponente di sicuro riferimento della DC) accuse di godere di una condizione di prescelto per meriti di nascita e parentato.
Sintetizzare un tale percorso politico in poche pagine di giornale è difficile e riduttivo soprattutto se si tiene conto della carica di discrezione e umanità con la quale Sedati ha operato. Nel ruolo di Commissario per la tragedia del Vajont (incarico per la prima volta sperimentato) il Molise non ha sfigurato. Sedati si avvalse della collaborazione del conterraneo Marcello Palmieri, e distinguendosi per competenza, prontezza, umanità, fornì ai superstiti di quella sciagurata vicenda un provvidenziale aiuto psicologico e in più, dando prova di efficiente competenza che gli derivava dalla conoscenza dei problemi derivanti dalla fragilità del territorio, direttive utili al risanamento dell’intera zona. L’impegno profuso a servizio del Paese non si è mai disgiunto da quello pensato e realizzato per il Molise. A Riccia sono fioccati posti di lavoro e tanta generosità gli ha procurato critiche ma mai accuse di averne tratto qualcosa di illecito.
Questo centenario dalla nascita che a Roma è stato celebrato a cura dell’Istituto “Sturzo” lo scorso 14 dicembre, e pochi giorni dopo i Sedati e i relatori sono stati ricevuti dal Presidente della Repubblica Mattarella, in Molise sarebbe passato in secondo piano se il “Centro Studi Molisano” non se ne fosse assunto l’onere. Le istituzioni locali si caratterizzano per la loro memoria evanescente. Al ricordo di Giacomo Sedati, al contrario dell’attenzione riservata ad altri, non è stata mai pensata una targa, il suo nome non figura nella toponomastica cittadina, se non a Riccia. Il saggio di Massimiliano Marzillo, che risulta il più serio studio sulla figura del Ministro molisano (che è stato anche più volte sottosegretario e presidente della Commissione di vigilanza sulla Rai, ndr), conta centinaia di volumi divenuti farlocco perché recano il simbolo della Regione Molise che in un primo tempo ha promesso un contributo per sostenerne la stampa assicurando di tale impegno l’editore, poi si è tirata indietro. Dobbiamo solo attendere che con il tempo questi volumi diventino preziosi come il Gronchi rosa facendo molto affidamento anche con l’evanescenza della nostra memoria.

Vittoria Todisco

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