Tilde Perrella insegna inglese in una scuola primaria di Bergamo. Si è trasferita lì molti anni fa da Bojano. A lei Primo Piano ha chiesto di raccontare come si vive in zona rossa. Bergamo lo è da poche ore ma comunque tre settimane fa la vita è cambiata radicalmente in tutta la Lombardia.
Professoressa Perrella, cos’è cambiato dal 21 febbraio nella vita collettiva di Bergamo e in quella sua personale?
«Si vive cercando di rispettare il più possibile gli obblighi e i divieti imposti e ciò incide in modo tangibile sia nei rapporti interpersonali – incontri, attività ricreative di gruppo, hobbies e passioni ridotti al minimo o addirittura azzerati – che nella impostazione organizzativa della città. Sono stati per esempio rimodulati gli accessi agli uffici, agli ospedali e in generale i servizi sia all’interno che nei rapporti col pubblico. Le giornate scorrono lente e ciò permette di procedere ad un’altra velocità, di soffermarsi, di riflettere e di focalizzare l’attenzione sull’essenza delle cose, di osservare e di valutare se stessi e gli altri in relazione ad un contesto nuovo, imprevisto ed eccezionale; insomma, è un’ulteriore occasione di crescita!».
Scuole chiuse, ma si lavora a distanza. Ci dà qualche dettaglio sulla giornata di una prof ai tempi del coronavirus?
«I primi giorni di chiusura sono stati caratterizzati da telefonate continue, mail e messaggi, con i colleghi e la dirigente, per cercare di capire come organizzarsi, come interagire con studenti e famiglie; si è sentito ancora più forte quel senso di appartenenza alla scuola come comunità educante in cui tutti i tutti i soggetti coinvolti nel processo educativo, sinergicamente, si affiancano, si supportano e si sostengono. Abbiamo quindi progettato il nostro percorso attraverso l’utilizzo di piattaforme dedicate, senza mai perdere di vista il “contatto umano”, attraverso messaggi di incoraggiamento e di affetto. Parimenti, l’aspetto organizzativo è gestito digitalmente a distanza. La contingenza ci ha portato a studiare e riformulare la didattica, trasformando una situazione problematica in una occasione di sperimentazione e apertura verso nuove pratiche».
Da quanto tempo non scende in Molise e come vive questa lontananza?
«Ho sempre pensato di avere una terra di origine – il Molise, dove ho le mie radici che sono una parte essenziale di me – e una terra di adozione – Bergamo, che mi ha visto crescere e mi ha offerto mille opportunità – e questo mi permettere di vedere e vivere la distanza in modo costruttivo, come un valore aggiunto. La lontananza dagli affetti è solo fisica, c’è differenza tra il sentirsi sola e l’essere sola. Sono venuta in Molise per le vacanze di Natale, secondo i programmi dovrei tornare per Pasqua, ma, data la situazione, non so se ciò sarà possibile: questo pensiero non è confortante, ma, al momento, è giusto e doveroso metterlo in conto!».
Un messaggio a chi studia e lavora al Nord e oggi preso dal panico pensa di tornare al Sud, a casa.
«L’eccezionalità e l’incertezza di questo periodo incutono paura e preoccupazione in tutti, penso che ora più che mai bisogna rimanere lucidi, affidarsi, collaborare, fare squadra, agire in un’ottica di aiuto reciproco, solo così, dando prova di senso civico e responsabilità, insieme riusciremo a riconquistare a pieno quella libertà che oggi siamo costretti a limitare. Credo che, alla fine di questo periodo, nulla sarà come prima, a cominciare dagli occhi con cui riguarderemo e rivaluteremo la realtà… spero con occhi migliori». red.pol.

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