Lei si chiama Martina. Ha 21 anni. Da 18 mesi lavora nella casa di riposo di Cercemaggiore, la “Comunità alloggio Madre Teresa”.
Martina è una delle operatrici sanitarie che è risultata positiva al Covid-19. Ora è a casa con la mamma e le sorelle. Ma non può vederle. Dal 25 marzo è in isolamento nella sua cameretta.
Il virus non l’ha debilitata. Si sente bene. Qualche linea di febbre, monitorata e tenuta sotto controllo quotidianamente dal responsabile del distretto di Riccia, il dottor Russo, «che vorrei ringraziare. Una persona fantastica e sempre disponibile».
È altrettanto grata alla «dottoressa Maria Testa, il mio medico di base. Mi chiama ogni giorno».
Martina sabato mattina su Facebook ha dato sfogo ai suoi sentimenti. Un post che non lascia spazio a interpretazioni. Ha scritto «ringrazio chi ha abbandonato me e la mia famiglia perché ho contratto il virus, mettendo la vita degli altri prima della mia… Ringrazio chi non ci ha ancora consegnato le mascherine quando forse dovevamo essere le prime…».
Cosa succede Martina?
«Non succede nulla di grave, per fortuna. Succede tuttavia che da quando sono in isolamento e i miei familiari sono in quarantena nessuna delle autorità che ci rappresenta si è preoccupata di chiederci come stiamo, se abbiamo bisogno di qualcosa. Ho una nonna che ha 80 anni e vive da sola. Ha costantemente necessità di farmaci. Sta trascorrendo indenne questo periodo grazie ai suoi vicini di casa da noi sollecitati che si stanno amorevolmente occupando di lei».
Il Municipio, i servizi sociali?
«Chi? Cosa? Hai una domanda di riserva?».
È molto triste, Martina. Coraggio, arriveranno giorni migliori.
«Ah, sì. Certo che arriveranno!».
Sei a casa da quando hai saputo di aver contratto il Covid, non sei stata in ospedale?
«No. Sono nella mia abitazione da quando ho lasciato la casa di riposo dove lavoro. Sto seguendo le prescrizioni del dottor Russo e sta andando abbastanza bene».
Con cosa ti stai curando?
«Farmaci comunissimi, nulla di particolare. Probabilmente perché le mie condizioni non hanno mai destato preoccupazione. Tachipirina».
Alcuni degli ospiti della casa di riposto sono stati trasferiti a Larino, lo sai? A Cercemaggiore sono rimasti i positivi e le tue tre colleghe, che lavorano senza sosta da diversi giorni. Nemmeno un’ora per tornare a casa.
«Certo. Lo so, lo so. Le sento tutti i giorni».
Vuoi mandare loro un messaggio?
«Con grande piacere. Dico di non arrendersi perché torno presto. Ho tanta stima di loro e del nostro presidente. Nonostante questo drammatico momento non si sono dati per vinti. Quella per noi è una seconda casa, lì c’è la nostra famiglia. Perché siamo una grande famiglia. Io non so se è chiaro a chi non vive certe situazioni cosa vuol dire restare e lavorare con amore in un posto dove ci sono persone contagiate. A chi non è chiaro suggerirei di non parlare tanto per…».
Torni al lavoro appena ti diranno che sei guarita?
«Senza ombra di dubbio. Nemmeno un istante più tardi. Il 9 aprile finisce l’isolamento e sarò sottoposta a tampone di controllo. Conto di tornare quanto prima. Se possibile anche il 9».
Se non ricordo male Martina avete dovuto insistere molto per farvi sottoporre a tampone.
«Dopo accertato il primo caso ci è stato riferito che, poiché tutti asintomatici, ospiti e operatrici, nessuno avrebbe eseguito il tampone. Il nostro presidente era già da allora in costante contatto con il dottor Russo. Entrambi si sono molto spesi, fin quando abbiamo saputo che saremmo stati sottoposti al test».
Quale la tua idea sul veicolo, cosa, come, in che maniera il virus è arrivato nella casa di riposo, fermo restando che dal 6 marzo l’ingresso nell’alloggio era consentito solo a voi addetti ai lavori?
«Domanda bella e interessante, alla quale, tuttavia, non so dare una risposta. Ci penso spesso anche in questi giorni. Chi è venuto a contatto con il “paziente 1” non ha contratto il virus, e chi non lo ha nemmeno incrociato sì. Ma non mi addentro, troppo complicato».
Una tra le ipotesi potrebbe essere quella del cluster del 118. A Riccia è risultato positivo un medico. E la casa di riposo si avvale spesso del servizio di emergenza.
«Vero. Da giorni però, considerando sempre quale riferimento “il paziente 1”, non veniva il 118. Quindi davvero non saprei».
Da quando avete avuto i primi sospetti a quando sono stati eseguiti i tamponi sono trascorsi diversi giorni. In quel periodo come avete fatto per cercare di evitare il contagio?
«Abbiamo subito messo in atto le regole sul distanziamento sociale e isolato gli ospiti. Oltre, ovviamente, ad indossare i dispositivi di sicurezza. Di più davvero non potevamo fare».
Avete fatto tutto da sole.
«Praticamente sì. Noi e il nostro presidente. A nulla sono valsi gli appelli. Sono molto delusa anche dall’amministrazione comunale. Quando il “paziente 1” è stato sottoposto a tampone, io e tre colleghe siamo rimaste per due giorni nella struttura in attesa di conoscere l’esito. Ci era stato imposto di non lasciare per nessuna ragione l’alloggio fino a nuova comunicazione. Non è stato affatto semplice avere notizie. Anzi, è stato davvero molto complicato. E non si è fatto vivo nessuno».
In questa emergenza sono coinvolte soprattutto l’Asrem e la Regione. Perché delusa dall’amministrazione di Cercemaggiore?
«Intanto perché vivo a Cercemaggiore: non vivo né in Regione, né all’Asrem. Certo, ognuno ha le sue oggettive responsabilità, e sono sicura che chi di dovere, potrà metterci tempo ma le accerterà. Dalla “mia” amministrazione mi sarei aspettata una telefonata, un supporto morale. Non è polemica. Ne faccio una questione di senso civico. Ho dovuto sollecitare con un post su Facebook l’invio delle mascherine che una ditta del posto ha prodotto e regalato ai residenti: le avevano consegnate a tutti, tranne che a casa mia. Forse, ma dico forse, qui ne avevamo bisogno prima degli altri. O no?».
Martina, nel tuo post hai scritto «ho contratto il virus mettendo la vita degli altri prima della mia…».
«Si perché a me e alle mie colleghe è stata concessa la possibilità di scegliere. Non ci ho pensato due volte e ho scelto di continuare a fare il mio lavoro per il bene degli ospiti della casa di riposo. Hanno fatto lo stesso le mie colleghe».
Le senti tutti i giorni. Cosa ti dicono?
«Sono molto provate, anche psicologicamente. Non è affatto semplice. Alcuni ospiti sono venuti meno. E come se fosse venuto meno una persona di famiglia. Sono stanche, non tornano a casa da giorni. È molto, molto complicato».
Come avviene la cura degli ospiti che hanno contratto il virus? Ci sono medici che vi aiutano, vi supportano?
«Se qualcuno di loro dovesse manifestare sintomi seri, come la difficoltà respiratoria, viene preso in carico dall’ospedale. Se la sintomatologia è lieve, le cure le somministriamo noi sotto la vigilanza del medico dell’Asrem e di quello curante. Il problema è che il coronavirus non è una di quelle “banali” influenze a cui siamo più o meno abituati. Questo ormai sembra chiaro».
Quando hai saputo di essere positiva?
«Eh… L’ho saputo la sera del 25 marzo. Una barzelletta: da persone che mi hanno contattata perché avevano saputo, non so in che maniera e da chi, il nome delle operatrici contagiate. Poi mi ha telefonato il presidente della cooperativa che aveva avuto ufficiale comunicazione dell’Asrem».
Riavvolgiamo il nastro Martina. Quando si è cominciato a parlare di Covid avete preso tutte le precauzioni necessarie. Se ti fosse concessa la possibilità di tornare indietro, cosa faresti di diverso? In qualche maniera, secondo te, si poteva evitare di far entrare il virus nella casa di riposo?
«Quanto è successo a Cercemaggiore mi pare stia accadendo anche altrove, nonostante siano trascorsi diversi giorni e potevano dunque essere prese maggiori precauzioni. Sai cosa penso? Penso che questo virus è subdolo e non è ancora chiaro come “si muove”. Rifarei tutto, certo che lo rifarei. Senza ombra di dubbio».
Sei innamorata del tuo lavoro.
«Molto. È una soddisfazione continua. Ho a che fare con persone deboli, che a volte ringraziano anche solo per un sorriso. Ciò riempie ogni istante la mia vita».
Come ti sta cambiando, se ti sta cambiando, questa esperienza?
«Sono giorni in cui rifletto molto. Penso a quanto spesso diamo per scontate cose che scontate non sono, affatto. Non vedo da un mese mio padre, è lontano per ragioni di lavoro. Qui a casa c’è mia madre e ci sono le mie due sorelle. Quattro donne, tre in quarantena e una in isolamento. Siamo fondamentalmente sole. Non nascondo che stiamo ricevendo attestati di affetto e vicinanza da persone che nemmeno conoscevamo. E magari da chi ci aspettavamo una mano tesa abbiamo ricevuto indifferenza. Ma va bene, ce la faremo anche da sole. È chiaro che quando tutto questo sarà finito, nulla sarà come prima. Ma proprio nulla».
La mamma e le sorelle come stanno?
«Bene. In realtà io sono “isolata” da molti giorni prima di avere la certezza di essere positiva. Ho evitato contatti perché il rischio c’era».
Cosa vuoi dire a chi sta leggendo?
«La mia professione non me lo ha consentito, ma chi può resti a casa. Questo virus uccide. E non fa differenze, né di età né di genere».
Martina, abbiamo detto abbastanza. Ci risentiamo quando sarai guarita e tornerai più determinata di prima tra i “tuoi” nonni, d’accordo?
«Certo, spero presto. Consentimi di spendere una parola anche per voi che come chi opera negli ospedali, nelle cliniche, nelle case di cura siete in prima linea per raccontare cosa sta succedendo. Grazie. Grazie di cuore».

Martina vive nello stesso paese dove vivo io da qualche anno. Non la conosco, non l’ho mai incontrata. Non so chi siano i suoi genitori, le sue sorelle. So, però, che è una ragazza in gamba, molto.
Martina è giovanissima. Ha 21 anni. E a soli 21 anni, quando le è stata offerta la possibilità di scegliere, non ha esitato un solo istante. Ha scelto i “suoi” vecchietti da accudire.
Quella di Martina è la storia di tante donne e tanti uomini che in questi giorni, in queste ore, hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, anche rimettendoci la vita.
Martina non vede l’ora di guarire. E non vuole guarire per dire «ce l’ho fatta». Vuole tornare presto in forma per dare il cambio alle sue colleghe.
Martina, le sue colleghe, tutti coloro che stanno combattendo questa battaglia sono l’orgoglio del Molise. E solo grazie a loro che questa terra potrà avere un futuro.
Martina sia di esempio a chi dal divano continua a ripetere, affollando i social, che è dura restare a casa.
È dura non tornare casa. Restarci, per chi può, è un lusso. Che non a tutti è concesso.
luca colella

2 Commenti

  1. Brunella Pia Pavone scrive:

    COMPLIMENTI A MARTINA, ESEMPIO ENCOMIABILE PER LE GIOVANI GENERAZIONI, SOPRATTUTO PER CHI SI LAMENTA DI STARE A CASA E
    NON ATTENENDOSI ALLE REGOLE

  2. Giovanni scrive:

    Brava ragazza…dal cuore grande…e molto ingamba…

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