Di radicarsi in Molise le mafie non hanno bisogno. Ci sono: le proiezioni di ‘ndrangheta, camorra e criminalità pugliese sono sempre più evidenti. Ma i clan si accordano con pregiudicati stranieri presenti in regione o con famiglie rom stanziali e così gestiscono le loro attività. Una sorta di telecontrollo che rende questa regione contaminata senza la presenza militare dei clan. Isola non più felice per la cui conquista non è servito nemmeno sporcarsi più di tanto le mani: è vicina, fuori dalle grandi rotte e dai riflettori. Un posto tranquillo che alle mafie, per la crisi economica e la piaga del consumo di droga, porta un discreto utile.
La relazione della Dia al Parlamento sul secondo semestre 2019, nel capitolo sul Molise, dà conto dell’istituzione di una commissione consiliare speciale di studio sulla criminalità – presieduta da Vittorio Nola – come indice della perduta immunità. E disegna una mappa in cui, rispetto a qualche anno fa quando la presenza di alcune ‘ndrine era molto più visibile (i Ferrazzo sulla costa), a guadagnare terreno sono i pugliesi.
Campania felix. Arrivano da Napoli e dal Casertano pregiudicati che entrano in azione lungo la fascia adriatica e nelle zone tra il Sannio e il Matese, vicine a quelle di influenza dei Casalesi. Una conferma, dai sequestri di beni (alcuni dei quali hanno riguardato proiezioni di gruppi camorristici), dall’arresto di latitanti (che da quelle zone possono continuare a occuparsi della gestione dei sodalizi di appartenenza), dalla presenza diffusa di pregiudicati che con le famiglie hanno scelto di stabilirsi in Molise a seguito del divieto di dimora in altre regioni.
Da Foggia con furore. La mafia foggiana è presente nella zona costiera, in particolare a Termoli, Campomarino, Petacciato e Montenero di Bisaccia. Si occupa principalmente di traffico di stupefacenti (oltre che di rapine e assalti ai bancomat), allungandosi pure a Isernia. Una conferma, in tal senso, viene dalle operazioni “White Rabbit” e “Drug Wash”. Riscontri sono arrivati anche dal blitz “Friends”: i clan dauni hanno un ruolo preminente nel narcotraffico, possono contare su canali di approvvigionamento in Campania e su una rete di giovani pusher di etnia rom sul territorio molisano.
Gli affari di Messina Denaro. Archiviato il passato stragista, la Cosa nostra capeggiata da Messina Denaro pensa solo a far soldi. E anche il territorio molisano per le cosche siciliane è un contesto utile per investire capitali illeciti. Nell’autunno 2019, la Dia di Caltanissetta ha sequestrato un impianto eolico situato a Civitacampomarano, già di proprietà di una donna del posto, che aveva ceduto il diritto di superficie alla moglie di un pregiudicato siciliano, ritenuto contiguo al clan Rinzivillo di Gela.
Non solo droga. Oltre agli stupefacenti, le organizzazioni criminali che operano nelle due province – scrivono gli esperti dell’Antimafia – si interessano anche di settori più sofisticati. A ottobre 2019, la Guardia di Finanza ha eseguito un provvedimento cautelare emesso a conclusione dell’operazione “Galaxy”, coordinata dalla procura di Isernia, che ha riguardato un’associazione a delinquere finalizzata alla frode transnazionale in danno dell’Italia e dell’Ue sulla vendita di auto di lusso, con un sistema di triangolazioni societarie. L’organizzazione, che sfruttando l’indebito risparmio d’imposta, aveva acquisito una rilevante quota del mercato nazionale degli autoveicoli
di lusso, aveva base stabile in Italia e proiezioni internazionali, in particolare nella Repubblica Ceca e in Germania. Alla stessa facevano capo aziende minori – operanti in Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Abruzzo, Marche, Sicilia, Puglia e Molise – e due grossi gruppi commerciali presenti nel Lazio e in Campania, riferibili ai Casalesi, a clan camorristici dell’area vesuviana e dell’agro nocerino-sarnese.
Numerose le interdittive emesse dai prefetti delle due province nei confronti di imprese, molte della quali riconducibili a soggetti legati a gruppi camorristici, operanti nei settori dei trasporti, dello smaltimento e del recupero dei rifiuti, dei servizi di pulizia di immobili, del movimento terra e dei lavori edili.
I nuovi schiavi. Gli stranieri senza permesso di soggiorno costituiscono il bacino da cui attingono i caporali, che li reclutano come manodopera da sfruttare per lavori in agricoltura, o le organizzazioni criminali per lo spaccio. Nel corso di un’audizione della commissione regionale presieduta da Nola, il rappresentante di Legambiente ha evidenziato come «oltre alla “tradizionale” importazione di forza lavoro sottopagato da altre regioni ad opera dei cosiddetti caporali legati alla criminalità organizzata» si stia assistendo «anche all’esportazione di lavoratori che… sempre su impulso e controllo dei caporali, quotidianamente raggiungono i territori delle province limitrofe per prestare, in condizioni molto difficili (sia dal punto di vista umano che da quello salariale), la loro opera in appezzamenti e strutture agricole…».
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