Amarezza, rabbia e denuncia: la voce del Molise che non ne può più della gestione pandemica della sanità si alza lì dove tutto è cominciato e dove tutto si sta compiendo. Davanti al Cardarelli di Campobasso: hub per il Covid e per tutto il resto che perciò si è fermato o quasi, reparti chiusi perché accorpati per fare spazio ai posti necessari a curare chi è affetto da SarsCo2 o chiusi perché si individuano focolai di infezione. «Se un bambino ha un’appendicite non sappiamo dove portarlo», dice il presidente del Comitato verità e dignità per le vittime del Covid Francesco Mancini.
Sul piazzale, per la manifestazione di protesta organizzata da un gruppo di cittadini, anche comitati, sindacati autonomi e qualche esponente del Pd (i regionali Facciolla e Fanelli, l’ex presidente del Consiglio comunale di Campobasso Durante, i dem isernini guidati da Maria Teresa D’Achille).
Tutti esprimono dissenso sulla gestione politica e tecnica della sanità e chiedono risposte concrete al ministero della Salute, nel mirino perché troppo distante da quanto avviene in Molise.
«Non abbiamo un centro Covid, a differenza delle altre realtà. Abbiamo in costruzione il padiglione che la Regione tanto ha decantato. E il commissario che dice che lui voleva Larino ma poi… Di fatto un centro Covid non c’è», evidenzia il segretario Soa Andrea Di Paolo. In molti parlano di «scaricabarile fra commissario, Regione e Asrem», di «disastro sanitario» e «scelte scellerate».
E poi la voce dei parenti di chi non c’è più. «I nostri congiunti sono morti in condizioni disperate
Ci imploravano di portarli via da un luogo dove dovevano essere curati. Abbiamo costituito questo comitato per ridare loro dignità. Sono morti indegnamente, senza che gli si cambiasse il pannolone per giorni per esempio», scandisce Mancini che ha perso il padre in malattie infettive. «Intanto se un bambino ha l’appendicite non sappiamo dove dobbiamo portarlo. E in tutto questo, il presidente della Regione della Regione si permette di cantare (il riferimento è alla partecipazione alla trasmissione Un giorno da pecora su Radio1 poco prima di Natale, ndr). Non ne possiamo più», conclude Mancini.

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