Appare fin troppo chiaro che – fatta qualche lieve eccezione – l’elevata concentrazione di polveri sottili che sta affliggendo Venafro non interessa a nessuno se non a chi il dramma lo sta vivendo.
Eppure il problema è grave e riguarda un ambito di forte impatto sociale: la salute umana.
Il sindaco Ricci ha fermato il traffico. Con una ordinanza che non ha precedenti nella storia recente della città ha inibito la circolazione ai mezzi pesanti e a tutti i veicoli più inquinanti. E ha pure prescritto un limite massimo di 10 ore al giorno per il funzionamento degli impianti di riscaldamento alimentati a gasolio e a biomassa.
Ricci ha fatto tutto quanto è nelle sue competenze. Oltre al traffico non ci sono ambiti in cui il primo cittadino di Venafro può agire. I pochi insediamenti produttivi rimasti nel territorio di competenza non hanno un grosso impatto sull’ambiente. Al di là dei confini del Municipio, è noto, il sindaco non può incidere.
Di fatto, nei primi tre giorni di vigenza del blocco del traffico, le centraline Arpa hanno rilevato continui sforamenti. Giovedì 16 gennaio, è questo l’ultimo dato disponibile al momento dell’invio in stampa del quotidiano, il Pm10 ha raggiunto il livello di 105 µg/m³ e il Pm2,5 quello di 84 µg/m³ (entrambe le misure si riferiscono alla media giornaliera).
Nelle stesse ore a Milano città, la media giornaliera del Pm10 era pari a 82 µg/m³ e quella del Pm2,5 pari a 64 µg/m³: la minuscola Venafro continua a battere la metropoli lombarda.
L’ordinanza con cui sono stati prescritti i divieti produce i suoi effetti fino a dopodomani (lunedì 20 gennaio). Ma è evidente come gli scarichi dei Tir e quelli dei veicoli più inquinati incidano poco o nulla sulla presenza così massiccia di polveri sottili nell’aria.
Altrettanto evidente è la complessità della materia e, dunque, oltremodo complicata è la soluzione. Ma proprio perché si tratta di un argomento così complesso e grave sarebbe necessario il coinvolgimento di tutte le istituzioni che operano sul territorio, con particolare riferimento alla Regione a cui l’ordinamento demanda le funzioni specifiche sulla qualità dell’aria. Chiaro che i parlamentari pure potrebbero fare la loro parte (mi suggeriva un caro amico di Venafro, «hanno il dovere di fare…»). All’atto pratico, però, tutto sembra procedere come se nulla fosse.
A chi risiede a Venafro e a chi per ragioni di lavoro è costretto a transitare in zona restano i disagi che inevitabilmente le misure adottate dal sindaco provocano, che suonano pure come una beffa, visto che la situazione anziché migliorare, come auspicabile, sta peggiorando di giorno in giorno.
Il limite massimo consentito degli sforamenti annui per il Pm10 è pari a 35. Dal 1° al 16 gennaio le centraline Arpa di Venafro hanno registrato già 11 volte valori oltre la soglia. Per “oltre” non si intende 1, 2 o 3 µg/m³ in più al valore massimo stabilito: siamo nell’ordine del doppio. Per quanto riguarda il Pm2,5 la situazione non è allarmante ma drammatica.
Cosa serve per svegliare le coscienze di chi può e deve fare quanto necessario?
La coltre di silenzio è inquietante. E potenzialmente più pericolosa dell’inquinamento.
Non so cosa hanno in animo i venafrani. Ne conosco, tuttavia, carattere e determinazione.
Quarta città del Molise per numero di abitanti, da sempre ha mantenuto a debita distanza le ingerenze criminali che arrivano dal confinante territorio campano. E questo la dice lunga sul Dna di chi in quell’area vive.
I venafrani hanno anticorpi e attributi. E al momento opportuno li tireranno fuori.
Occhio. La misura è colma.
Luca Colella

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