Sabato Santo, nella notte di Pasqua, è venuto a mancare padre Fulgenzio De Marco, al secolo Domenico De Marco, nato a Campolieto nel 1935, frate cappuccino, che ha operato ad Agnone dal 1966 al 1969 e dal 1981 al 2006. «Scrivere di padre Fulgenzio, per un ragazzo che fin da piccolo è stato da lui cresciuto e seguito, è impresa ardua, dato l’affetto profondo che ci ha sempre legati – commenta don Francesco Martino -. Dire che è stata una figura luminosa, straordinaria, può apparire banale, ma è la pura verità. Dirò di lui con gratitudine infinita, solo alcune, brevi e fondamentali note. Innanzitutto, è stato il primo vero, unico, ed effettivo cappellano dell’ospedale di Agnone, colui che, per primo, ha vissuto ed esercitato con passione e dedizione totale, con il suo cuore generosissimo e disponibile, questa missione, restando per me un esempio indimenticabile e che ha segnato tutta la mia vita e la mia vocazione per i malati e i sofferenti. Prima di lui in ospedale non esisteva nemmeno la cappella, né l’ufficio del cappellano: se oggi si può ancora celebrare la santa liturgia nella cappella ospedaliera, affrescata con l’ultima cena, è grazie a lui, che con il suo modo di fare discreto, generoso, altamente umano, con la grande capacità di costruire ed intessere rapporti di vera fraternità, con la sua grande capacità di ascoltare le persone, di farsi prossimo e vicino a tutti, di saper piangere con chi era nel pianto, di gioire con chi era nella gioia, di dare coraggio a chi era nella disperazione, di amare con cuore limpido di un bambino tutti, nel farsi tutto a tutti, cercando di aiutare il maggior numero mi ha lasciato questo in dono con tutto il suo esempio. Già nel 1986 – prosegue don Martino – mi volle al primo anno in seminario, con lui in ospedale, mi ha formato, fatto crescere, educato al rapporto con i malati e i sofferenti, e alla pastorale ospedaliera. Mi portava dappertutto: ai convegni dei cappellani nazionali, a quelli dei cappellani cappuccini, agli esercizi spirituali con i frati a Manfredonia, nelle sue uscite, nelle sue predicazioni. Ma soprattutto, aveva un cuore grande, accoglieva e aiutava tutti. Aveva un rapporto profondo, vero e sincero, con la famiglia Patriciello da quando era approdata a Venafro – ricorda ancora don Martino – attraverso la quale ha cercato di aiutare tantissime persone, molte veramente bisognose. Coltivava questi rapporti non per sé, ma per aiutare chi aveva bisogno. Qualcuno, che oggi dovrà risponderne alla propria coscienza, ne ha approfittato, ma nel Padre c’era solo la volontà di far del bene, perché era molto sensibile e sentiva il dolore e la sofferenza delle persone in difficoltà. Un cuore semplice, umile, come un bambino che si affida a sua Madre e al Padre Celeste: questo è – non era – padre Fulgenzio. Che, nonostante i suoi dolori e le sue sofferenze, sapeva scherzare, sdrammatizzare, fare delle battute a cui anche monsignor Santucci, che passava per burbero, non riusciva a trattenersi dal sorridere. Una grande amicizia ventennale, tra il nostro vescovo e lui, che è continuata nella senescenza a San Giovanni Rotondo. Per non dire che, mansionario del Capitolo cattedrale di Trivento, era il frate sentito più fratello da tutti i preti del Presbiterio di Trivento, uno di loro, per intenderci, e non un frate, a cui volevano veramente bene. L’ultima bella immagine fu quella della messa con monsignor Santucci con tutti i preti di Trivento, il 19 giugno 2018 nell’infermeria francescana a San Giovanni Rotondo. Grazie, padre, per tutto il tuo amore, per tutto il tuo esempio, e per tutto per quello che hai fatto per i tanti figli di questa terra. Un’ultima preghiera – conclude – veglia dal cielo su di noi e sul Caracciolo che hai reso un tempo ad essere un Grande Ospedale, salvalo, per i tuoi figli a cui sempre hai avuto bene, dalla chiusura!».

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