Sono ancora tanti, forse troppi i settori che stanno pagando a caro prezzo le conseguenze della pandemia. Da marzo 2020 anche in città il progetto di vita di centinaia di imprenditori ha dovuto subire drastiche trasformazioni. Per molti l’emergenza ha segnato addirittura la fine della propria attività lavorativa. Ad oggi, però, le istituzioni sembrano aver dimenticato che per migliaia di imprenditori dietro quelle saracinesche abbassate si celano i sacrifici di un’intera vita. Non solo il mondo della ristorazione, dei cinema e dei teatri, dunque. Quella delle palestre e delle associazioni sportive è uno dei settori che più di tutti sta pagando in maniera irreversibile le conseguenze dell’emergenza sanitaria senza un contributo fattivo da parte del governo.
Anche a Campobasso, dopo le chiusure ad intermittenza dettate dai dpcm che si sono susseguiti nell’ultimo anno, molte attività continuano a ‘sopravvivere’ soltanto grazie alla forza di volontà dei titolari. Ma impegno, pazienza e, soprattutto, risorse economiche, sono ormai agli sgoccioli.
«L’inizio della pandemia ha inferto un duro colpo all’intero settore – spiega la dottoressa Mariadelia Zita, titolare del centro di ginnastica mirata di Campobasso -. Dopo i tre mesi di stop forzato e con non pochi sacrifici ci siamo dovuti adeguare alle direttive anti covid del governo sperando di tornare a lavorare a pieno regime. Ma così non è stato. Per quanto riguarda la mia attività, oltre al ai numerosi dispositivi di protezione, per consentire spazi più ampi e garantire un ulteriormente distanziamento, ho affrontato dei lavori di ristrutturazione interna con la realizzazione di una porta secondaria per differenziare ingressi ed uscite. Interventi realizzati ovviamente a mie spese. Come partita iva, infatti, gli unici ristori ottenuti dal governo – spiega – sono quelli relativi ai mesi di marzo e aprile 2020, oltre ad un contributo erogato dall’agenzia dell’entrate nel mese di novembre. Si parla di cifre irrisorie che non consentono di coprire assolutamente le nostre spese. L’affitto va pagato ogni mese, senza dimenticare bollette e tari che arrivano puntualmente anche se le nostre attività sono chiuse da mesi».
Come altri professionisti presenti sul territorio, anche la dottoressa Zita e i suoi collaboratori hanno deciso di optare per le lezioni on line: «Le videolezioni aiutano – spiega ancora la dottoressa Zita -. Questo approccio ci consente infatti di restare in contatto con i clienti e di garantire loro una continuità negli allenamenti. Ma non è assolutamente la stessa cosa.
Soprattutto quando – giustamente -, in casa, mancano macchinari e attrezzi. In questi mesi ci siamo spesso dovuti adattare puntano sulla ‘fantasia’, utilizzando, ad esempio, bottiglie d’acqua al posto dei pesi, pentole al posto delle kettlebell e così via. Ma non c’è paragone, sia per il rapporto che si instaura in palestra con il cliente sia per la gradualità del lavoro.
Siamo uno dei settori più penalizzati – aggiunge -. Ancora non riesco a spiegarmi come mai la nostra sia una delle categorie più colpite. Siamo gli unici, ormai, escludendo teatri e cinema, ad essere stati chiusi e lasciati nell’abbandono più totale. Per il tipo di attività che offre il mio centro, ho sempre lavorato su appuntamento con i clienti con ingressi contingentati, sia per una questione di spazi sia per dedicare ad ognuno di loro un percorso personalizzato.
Oltre a misurare la temperatura, agli ingressi limitati, a mantenere la distanza, a garantire sanificatori e materiale per la protezione del cliente cos’altro dovremmo fare? Anche in vista di una riapertura, qualora ci fossero ulteriori limitazioni – conclude -, ci converrebbe chiudere definitivamente».
Una paralisi estenuante, dunque, che coinvolge anche le associazioni sportive dilettantistiche dove al momento gli ingressi sono consentiti solo agli atleti che svolgono attività agonistiche secondo le misure definite dal Coni.
È il caso di Debora Frani e Ivan Trentalange, partner nel lavoro e nella vita. Compagni da circa 20 anni, i titolari della Asd Box 21 sono genitori di due splendidi bambini. Il loro lavoro, dunque, costituisce il 100% delle entrate economiche necessarie a sostenere la propria famiglia. Sette anni fa, vista la loro grande passione per lo sport, hanno deciso di scommettere su se stessi e sul proprio territorio, lanciandosi in questa nuova avventura imprenditoriale e ottenendo un seguito importante soprattutto nel settore Crossfit.
«È una situazione paradossale – commenta Debora -, dall’inizio della pandemia non sono mai stati riscontrati focolai all’interno delle palestre eppure, insieme a teatri e cinema, siamo rimasti solo noi a subire questa ‘discriminazione’. A maggio siamo stati tra i primi ad applicare alla lettera le normative anti covid per poi chiudere di nuovo dopo pochi mesi. Ci sentiamo presi in giro – afferma -. Perché una palestra dovrebbe essere meno sicura di un supermercato o un centro di bellezza? Ci sono troppe incongruenze sulla gestione delle attività commerciali.
Da noi – aggiunge – non si sono mai verificati casi e, viste le accortezze e le precauzioni adottate fin dall’inizio dell’emergenza, anche se fosse entrato un solo socio positivo non avrebbe mai avuto modo di trasmettere il virus. A maggio, ovvero dopo la riapertura, abbiamo deciso di nostra spontanea volontà di chiudere l’accesso alle docce. Tra i nostri clienti ci sono anche infermieri del Cardarelli che, all’inizio della seconda ondata, hanno scelto in via precauzionale di non frequentare la palestra. Ma ogni sforzo è stato vano. Quello che non riusciamo a capire è il perché di questo accanimento nei confronti del nostro settore. Chiediamo semplicemente di lavorare e di non buttare all’aria i sacrifici di una vita. I ristori arrivati finora – spiega – non ci aiutano a coprire le spese. Attendiamo ancora il sostegno economico per il primo trimestre dell’anno previsto entro la fine di aprile. Ma anche quello è praticamente già speso visto che per una intera stagione non abbiamo ottenuto nessun aiuto.
Prima della pandemia – racconta – io e il mio compagno avevamo creato un fondo pensionistico per garantire una sicurezza economica alla nostra famiglia ma abbiamo dovuto attingere da quel gruzzolo per coprire le spese di affitto e utenze. Nel periodo del lockdown Ivan ha realizzato un piccolo laboratorio artigianale, “Trentalab”, dedicato alla la realizzazione di oggetti e giochi Montessori in legno, come torrette e balance board. Anche le nostre famiglie, per quanto possibile, cercano di darci una mano. Ma tutto ciò non è giusto. Un lavoro ce l’abbiamo e abbiamo scommesso tutto sulla nostra attività. Chiediamo solo di essere messi nella condizione di continuare a farlo. A giorni alterni o con limitazioni, poco importa. Fateci lavorare».

sl

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