Giorni di lacrime e rabbia: una settimana fa l’omicidio di Romina De Cesare, 36 anni, uccisa dall’ex compagno Pietro Ialongo, reo confesso del femminicidio avvenuto con molta probabilità nella serata di lunedì 2 maggio. Una settimana dal peso insostenibile per la famiglia della giovane, per la comunità di Cerro al Volturno e non solo. Un delitto così efferato lascerà per sempre una lunga scia di dolore, lacrime e rabbia.
LE INDAGINI. Gli esami irripetibili, per i quali è stata avanzata riserva di incidente probatorio, presumibilmente saranno compiuti prima della fine del mese, il tempo tecnico necessario agli adempimenti burocratici ma soprattutto al deposito della perizia sull’esame autoptico per la quale sono necessari almeno 20 giorni (sessanta invece per le risultanze dell’autopsia, effettuata venerdì scorso).
La difesa, così come Primo Piano ha raccontato nell’edizione di domenica, ha avanzato tale richiesta in ordine alla ricostruzione dinamica dell’omicidio – in pratica la simulazione dei fatti così come avvenuti lunedì scorso nella casa di via del Plebiscito -, alle verifiche sui telefonini in uso a Romina e Pietro, che è in stato di fermo (convalidato venerdì) e detenuto nel carcere di Latina, probabilmente ancora in isolamento e sottoposto ad una terapia farmacologica.
Non solo: saranno incrociati i dati relativi alla perizia cadaverica e all’ispezione personale dell’indagato: sotto le unghie di Ialongo sarebbe stato repertato del tessuto, presumibilmente appartenente alla vittima che avrebbe tentato strenuamente di difendersi dall’aggressione. Con molta probabilità, l’uomo sarà sottoposto anche ad una perizia psichiatrica ma questo sembrerebbe essere un passaggio ‘dovuto’, alla luce del reato di cui si è macchiato – e che ha confessato – ma anche dei vari tentativi di suicidio posti in essere dopo l’omicidio e dello stato confusionale nel quale è stato poi trovato sul litorale di Sabaudia. Il suo legale, l’avvocato Vincenzo Mercolino, nelle prossime ore tornerà a Frosinone per approfondire il fascicolo del Gip e verificare la linea difensiva da adottare: a Primo Piano ha annunciato, sabato scorso, che sarebbe ancora in corso di valutazione la possibilità di presentare istanza al tribunale del Riesame di una misura meno afflittiva o di un eventuale ricovero in una casa di cura. Una decisione, quella del legale, che ovviamente non può tenere conto della confessione resa da Ialongo davanti al pm e al legale d’ufficio che quel giorno lo ha assistito. Di certo, andrà anche nell’istituto penitenziario di Latina dove il suo assistito è recluso per sincerarsi del suo stato di salute.
Emergono, però, dettagli del femminicidio che pongono una serie di domande alle quali le indagini, ovviamente ancora in corso, dovranno fornire una risposta.
Come è noto, Ialongo ha confessato di aver prima tentato di strangolare la sua ex fidanzata e poi, resosi conto che respirava ancora, per il timore di essere denunciato per quello che, fino a quel momento sarebbe stato un tentato omicidio, l’avrebbe accoltellata con più fendenti – oltre una decina – al ventre e al torace. Quella mortale sarebbe stata la coltellata al cuore ma sembrerebbe che il decesso non sia sopraggiunto nell’immediatezza. Se le indiscrezioni che filtrano da fonti bene informate dovessero trovare conferma dall’esito dell’esame autoptico, quella di Romina sarebbe stata una agonia. Alla quale non è dato sapere se Pietro Ialongo abbia assistito. Perché in questa ricostruzione giocheranno un ruolo fondamentale le immagini del sistema di videosorveglianza, acquisite dagli inquirenti, che potranno chiarire a che ora l’uomo abbia lasciato la casa di viale del Plebiscito.
Una cosa è però certa: l’omicidio è avvenuto dopo le 16 visto che Romina ha chiamato il padre alle 15.45. Una telefonata nella quale probabilmente i due hanno parlato del suo ritorno a Cerro al Volturno, deciso con molta probabilità a seguito di qualche litigio avvenuto proprio con Pietro. Motivo questo, probabilmente, anche della visita a Frosinone dei genitori del 38enne, della decisione del papà di lui di restare a dormire nella casa dove i due vivevano la sera dell’ultimo giorno di aprile. Meno di 48 dall’omicidio.
Romina era attesa a Cerro al Volturno dalla sua famiglia, sarebbe dovuta arrivare martedì ma, purtroppo, non ha fatto in tempo a sottrarsi alla furia omicida dell’ex compagno. E chissà se non sia stato proprio questo il motivo scatenante dell’aggressione mortale: la consapevolezza che ormai non c’era più nulla da fare, che Romina sarebbe andata via, che avrebbe lasciato quella casa. Che sarebbe tornata dalla sua famiglia e poi, probabilmente, avrebbe iniziato una convivenza con l’attuale compagno, il primo che si è allarmato quando Romina non rispondeva più al telefono.
Quindi, secondo le certezze derivanti dalla telefonata intercorsa tra padre e figlia, Romina fino alle 16 circa di lunedì era ancora viva. L’aggressione sarebbe avvenuta nell’ingresso dell’appartamento che condivideva con Ialongo, non appena rientrata in casa in un orario ancora da stabilire: Romina, secondo il racconto dei colleghi del bar dove era impiegata da qualche settimana, si era licenziata il venerdì precedente, annunciando il suo ritorno in Molise.
Dopo averla accoltellata, il suo assassino cosa ha fatto? È fuggito, magari pensando fosse deceduta? E fino a quando è stato fermato dai Carabinieri, dove è stato? La ricostruzione della dinamica dell’omicidio fornirà le risposte ma di certo non potranno bastare a dare pace ad una famiglia distrutta e a pacificare una comunità che non riesce a credere a quanto accaduto.
UNA LUCE PER ROMINA. Domenica sera, intorno alle 20, un mesto corteo illuminato dalle fiaccole che simboleggiano vicinanza, desiderio che non si spenga l’attenzione sulla piaga del femminicidio, sulla tragica storia di Romina, figlia amata della comunità di Cerro al Volturno, ha attraversato le stradine del borgo. Una fiaccolata organizzata dalla parrocchia della chiesa di Santa Maria Assunta anche perché il papà Mario, il fratello Anthony e tutti i familiari della 36enne, avvertano il calore dei concittadini, di chi – con discrezione – vuole manifestare la propria vicinanza, la condivisione del dolore. Un momento di preghiera ha preceduto il corteo: padre Andrea Magliocca, domenica sera, dal pulpito ha ribadito con forza che gli uomini che uccidono le mogli, le fidanzate, le compagne, le ex non sono affetti da un amore malato. Sono assassini.
Perché l’amore non uccide, come aveva tuonato sabato pomeriggio dalla chiesa dei Santissimi Pietro e Paolo il Vescovo Camillo Cibotti, nel corso del rito funebre. Sotto l’altare un paio di scarpe rosse, il simbolo della lotta contro la violenza sulle donne. E un paio di ali bianche, quelle dell’angelo che di certo adesso veglia sulla dolce Romina, morta per mano di chi non ha voluto fosse libera di vivere la propria vita, il nuovo amore, i progetti per il futuro, i desideri di una ragazza come tante altre ma che ha incrociato sul proprio cammino l’uomo che l’ha uccisa con almeno una decina di coltellate. Dalla Francia, terra d’origine della mamma Silvia, anche lei andata via troppo presto, la zia di Romina che tra le lacrime chiede giustizia per la nipote. C’è anche lo zio Orlando De Cesare, assieme al gruppo Anfas di Castel di Sangro di cui fa parte, che piange a dirotto. Ringrazia chi è vicino alla famiglia, vittima di una tragedia troppo grande, chi ha raccontato Romina attraverso i giornali, le televisioni. Piange, senza riuscire a fermarsi. Al corteo hanno partecipato anche l’amministrazione comunale di Cerro al Volturno e quella di Isernia che, senza troppo clamore, ha deciso di essere presente per testimoniare vicinanza e supporto.
ls

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