Una lettera scritta da una donna malata di cancro al seno. Un appello disperato al presidente-commissario della sanità, Donato Toma, affinché riapra il reparto di Seonologia dell’ospedale “Veneziale” di Isernia, da qualche anno trasferito a Campobasso.
Una donna, giovane. Separata. Mamma di una bambina. Sta combattendo la battaglia più importante della sua vita.
Dalle parole che scrive si avverte collera, frustrazione, impotenza. Ma anche il desiderio e la forza di combattere e vincere il male. Per farlo, però, servono medici, servono strutture. Serve serenità. E servono anche risorse. Non tutte – afferma la giovane mamma – hanno la possibilità di spostarsi, viaggiare.
Un appello a tratti duro, diretto. Doloroso. Dettato, probabilmente, dalla sofferenza. Dal terrore che il cancro incute.
Caro presidente, mi auguro che tra i mille incarichi e progetti ambiziosi che la impegnano, possa trovare del tempo per leggere questa lettera. Avrei voluto essere fiera di lei e complimentarmi per il suo operato politico, invece le scrivo solamente per raccontarle una storia.
Non inizia con c’era una volta, perché questa storia c’è, è di oggi ed è la mia e di tante mamme. È una storia noiosa, forse, presidente, voglia scusarmi se la tedierò.
Questa è la storia di uno squarcio.
Sono una donna di 40 anni, ho una piccola attività tirata su dal niente, nella quale ho investito ogni energia ed ogni mia speranza, dove lavoro con amore per la gente e rispetto per un lavoro che mi ha reso una donna libera di scegliere di separarmi e ricominciare da capo con una bambina piccola. Perché sa, la vita va vissuta dove si è felici.
Quando stavo per rialzarmi e avevo, pensi un po’, persino ritrovato l’amore, ecco apparire il lupo cattivo: un cancro al seno.
Non so se esistono parole per descrivere cosa si prova; proverò a descriverglielo e le auguro, presidente, di non doverlo provare mai.
È un pugno dritto in faccia, nello stomaco. Un brivido ti paralizza le gambe e ti asciuga le labbra, le orecchie tappate, la mente vuota. Eccola, la vedi in faccia la paura mentre il cuore ti esplode nel petto.
E con gli occhi perduti, cerchi quelli del tuo medico perché ti confortino e ti sollevino un po’. E invece quei medici, caro presidente, ti raccolgono e ti rialzano con le loro stesse mani e immediatamente ti curano, con parole di coraggio e di speranza.
Ecco la prima terapia, un nettare.
Aspetti… forse non sa di cosa parlo, si proprio i medici! Quelli devoti ai pazienti ed al proprio lavoro non ai soldi. Esistono sa, non solo nelle favole, anche in Molise, nei nostri reparti.
Pensi, avevamo un reparto efficiente, un faro nella nebbia per tante donne, un reparto di Senologia che ha salvato tante di quelle vite!
Poi, non so come, nelle favole ci sono maghi e streghe, purtroppo. E cosi, ahimè, è sparito.
Caro presidente, non voglio stare qui ad elemosinare compassione, tantomeno da lei che delle donne malate di cancro non ha avuto minima considerazione.
Esistono donne belle e sane, e poi esistono le donne squarciate nel corpo e nell’anima.
Ma sono donne immense, lei sarebbe così piccolo a confronto.
Piene di forza, che vivono la vita e allevano i figli con un sorriso di sole, senza capelli, piegate dalle fatiche delle cure, che lavorano e cullano i bambini con le cannule nelle braccia e la speranza nel domani.
E lei, il sindaco e tutti coloro che intendono tappare loro la bocca, dovrebbero inchinarsi dinanzi a tanta vita, dinanzi alla vostre sorelle, mogli e figlie e non meno alle vostre elettrici.
Abbiate rispetto del dolore e della vita degli altri, soprattutto quando si ha il potere di decidere in grande.
Questa storia è la storia di tante, troppe donne che hanno diritto ad una vita migliore, in salute, nella loro città e ovunque si trovino. Senza il nostro reparto non possiamo curarci, ne abbiamo bisogno adesso, qui, e domani ovunque sorgeranno ospedali. Riapra il nostro reparto, lo potenzi, poi lo sposti in nuove sedi ma ad Isernia. Non possiamo viaggiare, siamo deboli e non tutte possono fronteggiare le spese, molte sono sole.
Può girarsi dall’altra parte, adesso, presidente, e ignorarci. Oppure entrare nella storia e salvarci tutte, proprio come il professor Veronesi che ha fatto delle cure e dell’amore per le donne l’obiettivo della sua vita; eppure è un uomo come lei, anzi come pochi.
Prenda esempio, caro presidente. Si ricordi che anche la morte è femmina e non guarda in faccia a nessuno.
Questa brutta storia spero finirà con i capelli più folti che mai, le spalle più larghe e lo sguardo meno perso, per affrontare una vita lunga e piena di sogni, una vita che ci riscatti, che ci ripaghi del male che ci ha fatto.
Il dolore dobbiamo accettarlo, imparare ma mai trattenerlo.
Ci aiuti a far entrare la luce da quegli squarci, a far nascere fiori da quelle crepe profonde che ci hanno lacerato il corpo e l’anima, lo faccia portandoci rispetto.
Scelga lei che parte avere nella storia, caro presidente. Intanto, la cosa più saggia da fare con le donne, mi dia retta, è dare loro ascolto.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.