La criminalità organizzata ha scatenato una nuova offensiva nei confronti degli ex affiliati che collaborano con lo stato nell’ambito del programma di protezione gestito dal ministero dell’Interno. Diversi gli episodi negli ultimi giorni, agguati e attentati, che hanno colpito i cosiddetti pentiti in varie zone del Paese, una recrudescenza che ha fatto alzare la soglia di allarme anche in casa Bonaventura. Un’estate orribile quella trascorsa dal 40enne collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, che dopo aver lanciato da mesi appelli e denunce contro la situazione in cui versano gli aderenti al programma di protezione dello stato, sta vedendo alcuni suoi ‘‘colleghi’ finiti nel mirino della malavita. Una situazione di disagio che l’ex affiliato alla ‘‘Ndrangheta crotonese da cinque anni e mezzo trasferitosi a Termoli in seguito all’uscita dalla vita d’onore sta vivendo da tempo e che nonostante l’evidenza mediatica non ha prodotto i risultati sperati, anzi l’esatto opposto: l’irrigidimento del Viminale. Per queste ragioni, Bonaventura e la sua famiglia, davvero preoccupati dalla spirale di violenza che sta avvolgendo il mondo dei pentiti, hanno voluto lanciare un appello al leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro, impegnato in prima linea nel dibattito sulla trattativa tra stato e mafia. Una scelta che non ha un carattere ideologico, ma semplicemente dettato dalla disperazione di poter avere un interlocutore che sia capace di smuovere le uniche due istituzioni che possano cambiare davvero le cose nel mondo del pentitismo, il Capo dello Stato e il premier. Per Bonaventura, infatti, l’impianto normativo che disciplina la collaborazione di giustizia, datata 2001, altri non sarebbe che una legge bavaglio e il rischio di infiltrazioni sul territorio della malavita è ormai conclamato, come dimostrerebbero alcuni arresti eccellenti operati negli anni scorsi, e forse sottaciuti per non alzare il livello d’allarme nella popolazione, oppure con i sequestri dei patrimoni mafiosi da decine di milioni di euro che sulla costa adriatica hanno visto sigilli scattare anche a Petacciato e San Salvo. Inoltre, il trasferimento comunicato dal Viminale dopo le esternazioni della tarda primavera 2012 non si è ancora concretizzato e al pentito calabrese è stata offerta una nuova sistemazione, ma sempre nel territorio termolese.

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