Parliamoci chiaro: chi di noi avendo la possibilità di andare altrove si affiderebbe alla sanità pubblica molisana? La risposta è scontata: nessuno. Come mai? Perché a sentire quello che si racconta e i comitati che divulgano notizie da terzo mondo è quasi automatico pensare: speriamo che non succeda a me. Certo, per la sanità privata ci sono gli uffici stampa che fanno apparire “miracolosi” anche gli episodi medici assolutamente normali. Convegni, ricerche e bla, bla, bla…
E quella pubblica? Stiamone lontani.
Poi, succede l’imprevisto. Due magnifiche sorprese. Capitiamo, quasi costretti, a ricorrere alle cure dell’ospedale “Cardarelli”. In particolare, al reparto di Chirurgia, per fortuna non per necessità personali. La paura è tanta, ma l’urgenza della patologia non consente altra soluzione. Arriviamo di notte. L’impatto è stranamente sereno. Ma non siamo tranquilli. Aspettiamo il giorno. Immaginavamo l’inferno della sanità pubblica, così quotidianamente raccontata dalla imprudente stampa. E invece… ecco la prima piacevolissima sorpresa: il reparto è una primavera. Le luci si spengono e il sole illumina un lunghissimo corridoio, stranamente pulito. E poi le stanze, a destra e a sinistra, profumano nonostante i tantissimi degenti. Un ambiente accogliente, rassicurante, efficiente. Non è possibile, non può essere così. Ci aspettiamo il peggio. E invece… ecco ancora le magnifiche sorprese: tirocinanti, infermieri, studenti. Tutti con camici canditi e pulitissimi. Sorridono. Disponibili sempre, con chiunque, a qualsiasi ora. Stanno in gruppi in piccole stanzette e poi si muovono, decisi, professionali. Si spostano nelle varie stanze quasi con pudore ma decisi, accorti, funzionali. A qualcuno la flebo, ad altri le punture, e poi la pressione, la temperatura. I degenti si rassicurano; alcuni, addirittura, sorridono. Sono tutti giovani o giovanissimi. Vederli all’opera è una goduria, altro che inferno. Quante miserabili menzogne sul Cardarelli che, con la sua maestosa struttura sovrasta la fredda e accogliente Campobasso.
Ma torniamo a Chirurgia. I medici, i chirurghi dove sono? Sembra che non ci siano. Le visite la mattina verso le nove e poi spariscono. Di tanto in tanto ne intravediamo qualcuno, riconoscibile dal camice. E gli altri? Ecco il primo pensiero che turba. Vagabondi. Se ne stanno rintanati, magari per visite private. E allora chiediamo: dove sono? La risposta è sempre la stessa: in sala operatoria. Dopo qualche ora chiediamo ancora: dove sono? Ma la risposta ancora la stessa: in sala operatoria. Di giorno, di notte, sempre lì, a operare, a salvare vite umane. Altro che malasanità pubblica. Qualcuno ci indica il primario. Alto, dinoccolato, sereno, rassicurante. Non si rifiuta mai. Nonostante le urgenze trova sempre un minuto per i degenti, per i parenti, a spiegare, a chiarire, a rassicurare e poi scompare. Dov’è chiediamo. E la risposta ancora la stessa: in sala operatoria. Certo, fare i nomi di questi bravissimi professionisti sarebbe necessario e forse utile, ma non opportuno: scadremmo nell’amicale. Uno di loro ci racconta dell’ormai famoso intervento per ricostruire il torace a un giovane devastato da un incidente stradale. «Sono quasi otto anni che facciamo cose del genere e anche più complesse, ma nessuno ne parla. Pazienza, noi andiamo avanti con orgoglio e dedizione».
A questo punto ci viene in mente il grande fervore della stampa a raccontare delle strutture sanitarie che chiudono: Agnone, Larino, Venafro, ecc. ecc. Questo è sicuramente un problema politico. Ed ecco i comitati, i comunicati stampa e così via. Avranno anche ragione. Ma, ogni tanto, raccontare le eccellenze della sanità pubblica potrebbe essere doveroso oltre che giusto. È evidente, poi, che le criticità ci sono. Il primario ci racconta, per esempio, che i chirurghi in pensione non vengono sostituiti. Poi c’è la facoltà di Medicina. A quanto pare per la parte dottrinaria vi sono i docenti. E nel tirocinio? Hanno i medici dei vari reparti che, a quanto pare, non hanno gloria.
Per concludere, un doveroso e affettuoso messaggio al presidente Frattura. Sappiamo, naturalmente, della maglia nera della sanità molisana, come pure l’avvilimento dell’Università. Sono anche le conseguenze di come ci rappresentiamo, di come ci raccontiamo. Una certa stampa quasi si compiace di questi falsi fallimenti. Che miserabile vergogna. Allora, presidente Frattura, difenda meglio il suo Molise. Riprenda l’orgoglio e la dignità di questa regione, di questa gente che non merita tante bugie. Per la sanità pubblica trovi almeno un addetto stampa che racconti la verità. Poi, restano le scelte politiche. Quelle non le discutiamo. Non spetta a noi. Aldo Barletta

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