Soffriva di ascessi cerebrali e per guarire sarebbe stato sufficiente essere sottoposto a un’apposita terapia antibiotica. E invece quella patologia venne scambiata per un tumore e curata come tale. Un errore fatale ad avviso del gup del tribunale di Roma che, accogliendo la tesi della Procura capitolina, ha rinviato a giudizio sei medici dell’ospedale San Camillo. Tutti saranno processati con l’accusa di omicidio colposo per la morte di Michele Maria Scarano, il 52enne isernino deceduto il 30 aprile dello scorso anno, dopo un’agonia cominciata sei settimane prima: il 18 marzo.
Come riferisce il Corriere.it: «Solo a pochi giorni dalla disgrazia l’equipe medica – secondo il pm Pietro Pollidori – si è accorta di aver sbagliato la valutazione degli elementi raccolti nel corso degli esami. Un riconoscimento tardivo, inutile a scongiurare il decesso. A sedere sul banco degli imputati sarà innanzitutto Clara Leonetti, che avrebbe interpretato erroneamente le lesioni evidenziate dalla Tac. I suoi cinque colleghi – Salvatore D’Antonio, Marcello Ciccarelli, Claudio Perrone, Domenico Nervini e Mario Giuseppe Alma – non avrebbero disposto la risonanza magnetica richiesta dal neurochirurgo del primo ospedale dove Scarano era stato visitato».
Una vera e propria odissea quella vissuta dal 52enne che, all’epoca dei fatti, viveva a Isernia. L’uomo si sottopose a una tac, disposta da neurologo del ‘Veneziale’ a cui si rivolse perché notò l’insorgere di problemi nel linguaggio. Subito dopo venne disposto il trasferimento del paziente al San Camillo dato che gli era stato diagnosticato un tumore al cervello.
Tuttavia il medico si premurò di non escludere altre malattie, indicando la necessità di sottoporre il paziente a una risonanza.
Arrivato nella capitale il 18 marzo, Scarano fino al 24 aprile venne curato come se avesse metastasi al cervello generate da un cancro ai polmoni. Il tentativo di debellare o quantomeno ridurre la presunta neoplasia causa effetti mortali, secondo l’accusa. In questo periodo infatti, stando al consulente della procura Luigi Cipolloni – riferisce ancora il Corriere.it -, gli ascessi si trasformano in pus, avvelenando l’intero organismo e rendendo disperate le condizioni del paziente. Soltanto all’ultimo i medici si accorsero che in realtà, le macchie evidenziate dalla Tac, erano ascessi e provarono a fornire una spiegazione ai parenti di Scarano, costituitisi parte civile, assistiti dall’avvocato Antonello Madeo.
In una conversazione registrata dai familiari, agli atti dell’inchiesta, un dottore diede una giustificazione il 24 aprile di un anno fa. Quel giorno disse: «Non era mai stato chiarito se quelle immagini fossero ascessi o tumore perché alla Tac sono uguali». Invece, ad avviso dell’accusa, sarebbe stato sufficiente sottoporre il 52enne ad esami più approfonditi e celeri per capire quale era davvero la patologia da cui era affetto e sottoporlo a una terapia adeguata.
Le indagini partirono subito dopo il decesso con l’apertura di un fascicolo da parte della Procura. Nel registro degli indagati finirono i sei medici che, in quei drammatici giorni, si occuparono del 52enne. Ora, esaminati gli elementi raccolti in oltre un anno di indagini, il Gup ha deciso che i professionisti dovranno essere processati per stabilire se realmente Michele Maria Scarano è stato vittima di un errore diagnostico.

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