CAMPOBASSO. Così vicine come territorio e tessuto economico, così lontane nel calcio. È la sorte di Campobasso e Benevento, città nella storia con performance sportive (e non) sovrapponibili, fallimenti ciclici nel pallone e un destino da ascensore tra l’inferno dei dilettanti e l’oasi del professionismo. Alterne fortune, insomma. Sia al di qua che al di là del Tammaro. Fino a quattordici mesi fa erano i lupi a poter vantare di aver piantato più in alto dei rivali la bandiera rossoblù, ovvero in serie B. Poi le Streghe hanno scoperto la pozione per pareggiare i conti e rompere l’incantesimo della cadetteria cancellando quella che era divenuta ormai un’ossessione ai piedi del monte Taburno. Il miracolo sportivo era però appena alla prima di due entusiasmanti tappe: con un fantastico doppio salto, Benevento può ora godersi la propria favola e prepararsi a sfidare le big del calcio italiano con quell’aria da matricola entusiasta e agguerrita. Campobasso resterà invece a osservare tra ragionamenti utilitaristici (leggasi la serie A a 40 minuti d’auto), frasi tanto stereotipate quanto prive di fondamento («lì ci sanno fare, mica qua»), esclamazioni del tipo «avessimo noi un Vigorito» per poi farlo fuggire a gambe levate, qualche complesso di inferiorità e un pizzico d’imbronciata invidia per categorie che è imbarazzante paragonare ma che oggi appaiono come distanze impossibili da colmare.
C’è da ammettere che il primato rossoblù resisteva solo per altitudine della miglior vetta scalata e non certo per il rendimento medio: negli ultimi 23 anni – e quindi ben prima del fiume di milioni con cui la famiglia Vigorito ha inondato di gloria le ambizioni giallorosse – sull’altro versante del Sannio è sempre andata in scena almeno la C, cosa non avvenuta in Molise dove si contano appena cinque sporadiche apparizioni e tutte nel quarto livello, mai oltre. Un dato che sembrerebbe far trasparire a Benevento, dagli anni ‘90 in poi, un cambio di marcia del tessuto economico se è vero che il calcio ne è spesso uno specchio fedele. Ma è in realtà così? La risposta è no. Assolutamente no. Gli studi di Unioncamere Molise (per il dettaglio si vada a pagina 26) confermano che le due province conservano lo stesso arrancante passo. La differenza la fa l’attuale patron delle Streghe, allora? Neanche. Lui ha schiacciato il piede sull’acceleratore, questo è vero, come magari a Campobasso fece Molinari in altre epoche. Ma il sorpasso era già avvenuto. E poi c’è un altro aspetto su cui riflettere: Oreste Vigorito è di Ercolano e vive a Napoli. Se il suo seme è sbocciato in un’altra città è anche perché ha trovato un terreno fertile. Discorsi, questi, che coinvolgono la sfera politica senza alcuna ombra di dubbio. E qui si potrebbe innescare un dibattito infinito vista la particolare tipologia di attività imprenditoriale svolta da colui che Benevento celebra in maniera indiscutibile come un eroe. Può però bastare una considerazione tanto banale quanto tranciante per offrire uno spunto di riflessione: le pale eoliche (anche quelle di Vigorito che ha due parchi in regione) girano pure in Molise. Girano eccome. Proprio come l’umore del tifoso comune. Che non chiede certo che il proprio territorio diventi merce di scambio al grido di ‘panem et circenses’, ma che prende atto del profondo solco scavato da quel vicino di casa che riteneva di pari livello, o al quale si sentiva addirittura superiore.
Sulle decine di analogie individuabili ce n’è una che spicca su tutte e che fotografa appieno perché, pur con la stessa vettura in dotazione, c’è chi sfreccia in autostrada e chi distrugge gli ammortizzatori dei nervi sui fossi di una mulattiera: è lo stadio. Due impianti identici, uno nell’abbandono e nella quasi inagibilità nonostante la data di costruzione più recente e il ‘bonus’ dei lavori per il passaggio della nazionale azzurra dopo la tragedia di San Giuliano di Puglia, l’altro perfettamente a norma.
Nel 2007 il Comune di Benevento ha stilato una convenzione decennale (in scadenza tra tre mesi e il cui rinnovo è una formalità) con impegni precisi presi (e mantenuti) sia dalla municipalità che dal club. Da allora, un passo alla volta, il Santa Colomba (poi divenuto Ciro Vigorito) è stato sistemato fino a un’apertura quasi completa nella finale playoff contro il Carpi (18mila posti), ma in ogni caso sempre con una capienza sufficiente alle esigenze delle varie categorie scalate dai giallorossi negli anni. Tornelli, videosorveglianza, aree di prefiltraggio o restyling sugli spalti non hanno mai rappresentato un problema pur senza gli 800mila euro che la Regione Molise ha invece assegnato a Palazzo San Giorgio e con cui finora è stato ‘stampato’ solo un libro di barzellette. Risate amare, insomma. E, intanto, la domenica a Campobasso – cantavano Gino&Gina negli anni d’oro – quanta gente va a vedersi la partita. Oggi bisognerebbe aggiungere una strofa. E precisare che la gara in questione è quella del Benevento in serie A. Mario Colalillo

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