Fino a pochi giorni fa addetto stampa e social media manager del ministro dell’Agricoltura Patuanelli, Manuela Garofalo ora è rientrata in Molise.
La intercettiamo mentre sta curando la parte finale del trasloco e l’avvio di nuovi contratti fra Roma e Campobasso. All’appuntamento per un breve pranzo di lavoro arriva elegante, cappotto blu e fiocco di seta fra i capelli. A 37 anni, e ne dimostra molti meno, il suo curriculum è di assoluto rispetto: giornalista, due lauree in Scienze della comunicazione, un master internazionale alla Bocconi e diverse esperienze all’estero, di cui una a Dublino dove si è occupata di comunicazione per un’importante multinazionale. Con Patuanelli ha collaborato prima allo Sviluppo economico e poi lo ha seguito all’Agricoltura. Ha vissuto i palazzi del Governo negli anni più complessi della storia del Paese, quelli della pandemia.
Il suo curriculum impressiona. Verrebbe quasi da dire: è reale oppure al Ministero le hanno insegnato i segreti dei viaggi nel tempo?
(Sorride e non risponde, ndr).
Perché ha scelto di tornare in Molise, mentre tanti, tantissimi molisani invece scappano via?
«Quando è iniziata la mia esperienza a Roma, poco più di due anni fa, avevo già messo in programma di tornare in Molise. Nel tempo ho rifiutato varie proposte di lavoro importanti, ma ora sento che è giunto il momento di cogliere nuove opportunità».
Dall’interno del Palazzo ha vissuto una pandemia, un ribaltone di Governo, il G20 con presidenza italiana, la rielezione di Mattarella, ora una guerra alle soglie dell’Europa: ci può svelare qualche retroscena?
«Questo lavoro ti fa vivere esperienze uniche e indimenticabili. Un continuo susseguirsi di situazioni stimolanti, quasi sempre molto tese e concitate (è evasiva, ndr). E la cosa più bella è poter dare il proprio, piccolissimo contributo. Quanto ai retroscena posso dire che il momento del bollettino Covid era uno dei pochi istanti della giornata in cui ci fermavamo per ascoltare i numeri delle vittime. Un dramma senza fine che si rinnovava ogni giorno. E allo Sviluppo economico si avvertiva tutto il peso di scelte difficili come quella di chiudere le attività produttive. È stata una grande prova professionale e umana: dovevamo comunicare nel modo più giusto ed etico decisioni che avrebbero colpito lavoratori, imprenditori, commercianti, ma anche essere pronti a gestirne gli effetti».
Il suo rapporto col ministro Patuanelli?
«Lui è una persona molto mite, attenta ai suoi collaboratori, sensibile. Chi fa il nostro mestiere instaura con la persona, il politico, il personaggio per cui lavora un rapporto di stima, fiducia ed empatia. Si resta accanto nei momenti più belli ma anche in quelli più complicati. Anche lui ha visto alcuni miei momenti “no” e ha saputo incoraggiarmi con estrema sensibilità».
Come è cambiata la comunicazione con la pandemia?
«Ogni strategia comunicativa pensata per il Ministero e per il ministro è stata stravolta all’improvviso. La priorità è diventata comunicare le decisioni del Governo in tempo reale, ridurre il più possibile la percezione di distanza tra cittadini e istituzioni, spiegare che si stava lavorando senza sosta per dare risposte e soluzioni ad un dramma di dimensioni globali. E per farlo, ovviamente, non avevamo manuali da cui attingere: l’obiettivo, a quel punto, è diventato comunicare le informazioni di pubblica utilità, ora per ora. Quindi la comunicazione ha assunto una rilevanza maggiore ma è cambiata soprattutto la percezione dell’importanza di investire sulla comunicazione».
In circostanze simili la professionalità fa ancor di più la differenza. Patuanelli ad esempio in questi anni ha mantenuto un’ottima reputazione e ad oggi è il ministro più seguito su Linkedin, social che parla a imprese e professionisti. Sono ancora tante le realtà che si affidano però ad improvvisati esperti di comunicazione.
«Quando sono arrivata al Ministero mi è sembrata la cosa più naturale aprire un profilo Linkedin ad un ministro dello Sviluppo economico. Quanto alla reputazione, l’elevata esposizione di un ministro è sempre un’arma a doppio taglio: cresce la visibilità, ma se gestita male può intaccarne l’immagine e la credibilità. Credo che, soprattutto per un politico, la priorità sia quella di far arrivare ai cittadini la sua vera identità, raccontarne l’attività pubblica, riducendo al minimo ogni filtro. È una questione etica. La comunicazione non deve creare un personaggio, ma favorire una connessione trasparente tra la persona, che è il ministro, e i cittadini. Ed è sempre più chiaro che una comunicazione gestita bene può fare la differenza, mentre una comunicazione gestita male può fare disastri».
Molti credono che quello di addetto stampa o social manager sia un lavoro privilegiato. In realtà, chi svolge la professione sa bene quante rinunce comporti. Lei dove si colloca in questa disputa?
«È vero che fare l’addetto stampa o il social manager di un ministro è un privilegio, un grande onore. Però è anche vero che dal momento in cui si accetta un ruolo del genere, si accantona tanto della propria vita privata. Un ministro è ministro sempre, non esistono orari, quindi bisogna essere sempre pronti e sapere tutto ciò che accade intorno»
E nella sua vita privata è un po’ trappola di questa bolla?
«In trappola direi di no. Sai di avere delle priorità legate al lavoro e al ruolo che ricopri. Ruolo che va rispettato e onorato con etica, compostezza e riservatezza».
Ci sembra di capire però che la sua vita fuori dal Ministero sia un po’ sospesa. Dentro il Ministero invece cosa si prova?
«Appena entri in quelle stanze, già dopo la prima chiacchierata con i colleghi e con il ministro, comprendi che dovrai imparare a convivere con ritmi incalzanti e forti pressioni, quindi a tenere sangue freddo: tutto questo non è auspicabile, è necessario. E senza sbagliare le parole, i tempi e le valutazioni della comunicazione. Quasi mai, accanto ad un ministro, chi fa comunicazione può prendersi il lusso di tentennare».
E per quanto riguarda l’aspetto umano?
«Quando parlo di sangue freddo intendo anche questo. Siamo abituati ad immaginare i palazzi del Governo come luoghi dorati, stanze distanti dai problemi del Paese. Invece si avvertono sensibilmente tutte le situazioni che le categorie del Ministero di riferimento si trovano ad affrontare. Vedi ogni problema a 360 gradi e incontri i volti di chi lo vive in prima persona. Ad esempio, al Mise capita di partecipare ad incontri con aziende in crisi, operai che stanno perdendo il lavoro. E succede, in quei momenti, che il lato umano prenda il sopravvento. Ho pianto quando il ministro ha dovuto comunicare agli italiani che, da un giorno all’altro, le attività produttive si sarebbero dovute fermare. In quei momenti serve lucidità, ma il lato umano c’è e tra di noi viene fuori, anche se poi all’esterno non si percepisce».
Nei suoi racconti sull’esperienza di Governo è molto vaga. Proviamo con la vita privata: c’è qualcuno che le è stato accanto nella coraggiosa scelta di tornare in Molise?
«Certo, tra le varie scelte che avrei potuto fare questa non era la più scontata. Ho avuto bisogno di confrontarmi, di ascoltare il parere di chi mi conosce bene e mi vuole bene: mi ha aiutato a vedere le cose con più lucidità».
Deve essere una persona forte quella che le sta accanto e le dà forza.
«Imparare ad essere forti nel lavoro non vuol dire esserlo sempre. Soprattutto nella vita privata. Chi riesce a starti accanto e a guidarti in alcune scelte è una persona che ti vuole bene indipendentemente da ciò che fai e che farai, è una persona che conosce i tuoi lati belli ma anche i peggiori, che vede tutte le tue fragilità e riesce a proteggerle».
Nella sua carriera ha scritto anche di comunicazione nella moda. Che differenza c’è tra comunicare la politica e comunicare la moda?
«Politica e moda sono le due materie che più mi appassionano. Non è un caso se per la tesi triennale mi sono concentrata sulla costruzione della credibilità dei politici, mentre alla magistrale ho approfondito le strategie multicanale delle imprese di moda. Tra moda e politica ci sono molte più connessioni di quanto si possa immaginare. La moda infatti è una forma di comunicazione individuale e sociale, ma è anche un linguaggio universale. Non si può analizzare il linguaggio della moda senza considerare il momento storico, sociale, politico in cui determinate mode si collocano».
Ai tempi dell’empowerment femminile, invece, cosa vuol dire essere donna ed essere giovane per chi come lei ricopre ruoli che fino a qualche anno fa erano appannaggio perlopiù di uomini e professionisti più adulti?
«Ho lavorato con un ministro per bene e con colleghi altrettanto professionali. Sono sempre stata presa in considerazione per il mio ruolo e la mia professione. Non ho mai visto sminuite le mie competenze perché giovane o donna».
Ma questo accade. O invece il Palazzo è scevro da pregiudizi?
«Se qualche volta la cronaca ci racconta che accade, evidentemente è così e non posso negarlo. Anzi, condanno fermamente ogni forma di pregiudizio e di mobbing, ma non credo siano da circoscrivere solo all’ambiente della politica».
È vero che alla notizia del suo rientro in Molise qualche esponente della politica locale non ha perso tempo per formularle proposte di collaborazione?
«Anche prima del mio rientro (sogghigna, ndr)».
Un pronostico: chi sarà secondo lei il prossimo presidente della Regione Molise?
«Mi chiederei piuttosto chi saranno i prossimi candidati. La situazione mi sembra ancora troppo, troppo incerta».
Aut aut: Draghi o Conte?
«Sono entrambe figure importanti che stanno affrontando momenti delicati della storia del nostro Paese. Conte ha dovuto gestire una pandemia e si è trovato di fronte un problema immenso. Draghi ha ereditato una situazione già in parte tracciata, ma sta gestendo una compagine di governo più eterogenea».
Sulle domande politiche ci ha lasciato un po’ a bocca asciutta…
«Il Governo è ancora in carica e da parte mia non sarebbe professionale esprimere giudizi».
Intende dire che a Governo non più in carica ci incontreremo per un’altra intervista e che allora non eluderà alcuna domanda?
«Potremmo rivederci per un altro pranzo…».
G.R.

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