La passione viscerale per la lavorazione del legno, l’amore di sempre per la musica, la scoperta improvvisa dell’affascinante mondo della zampogna: sono i tre ingredienti che hanno fatto di Franco Sacco, maresciallo della polizia in pensione e ormai da vent’anni, il solo artigiano che le crea in provincia di Campobasso.
La curiosità, lo sguardo sempre proteso in avanti, hanno fatto poi di lui anche un grande sperimentatore, innovatore e allo stesso tempo conservatore della tradizione. Una delle sue zampogne si trova nel Canadian Museum of History, già Museo della civilizzazione canadese di Ottawa; un’altra è conservata presso il Municipio di Toronto. E proprio dall’interno della sua bottega prosegue il cammino di approfondimento condotto su queste pagine sulla cultura delle tradizioni e in particolare sulla zampogna come elemento identitario del Matese, oltre che strumento tra i più antichi in assoluto.
Se col tempo diventa sempre più raro imbattersi nei suonatori di zampogna, anche dalle nostre parti, lo è ancor di più incontrare un creatore dello strumento. Come nasce l’idea di mettersi a costruire zampogne?
«La passione per la zampogna nasce una ventina di anni fa, precisamente nel 2003, quando per la prima volta sentii suonare gli Zampognari del Matese di Bojano. Rimasi subito stregato dal valore di alcune zampogne che ho visto suonare da alcuni di loro. Da allora mi sono aggregato al gruppo e ho iniziato anche io a suonare, cimentandomi allo stesso tempo con la costruzione. Ma di base ho sempre amato la musica, sin da piccolo, e soprattutto ho sempre amato il legno».
E si tratta di un hobby o di un lavoro?
«È sempre stato un hobby. Prima ero maresciallo di polizia, ma mi sono sempre dedicato alla musica e agli intarsi in legno, che per me rappresenta un elemento vivo: lavorarlo è come dare vita a qualcosa».
L’incontro col suono della zampogna poi ha fatto il resto, e ha creato la magia, rendendoti di fatto l’unico costruttore dello strumento nella provincia di Campobasso.
«Ricordo che mi domandai: “Perché non imparare a costruirli questi strumenti?”. E così ho cominciato, facendo sempre tutto da autodidatta. Anche gli attrezzi in ferro per la realizzazione delle zampogne li costruisco da solo. Non si tratta di classici attrezzi che si usano normalmente per la lavorazione del legno».
Basta osservare e ascoltare le tue zampogne per capire subito però che c’è di più: come fanno i veri artisti, ci hai messo del tuo e hai apportato delle migliorie tecniche allo strumento, giusto?
«Con gli anni ho sperimentato oltre che vari tipi di legno, anche delle innovazioni. Ad esempio, alcune parti le creo con una stampante 3D. Altre le realizzo in fibra di carbonio. Si tratta di piccoli accorgimenti che via via hanno migliorato il prodotto trovando però il giusto equilibrio tra tradizione e modernità».
Ci spieghi il motivo della fibra di carbonio, ad esempio?
«L’obiettivo è avere uno strumento tecnicamente perfetto, ideale. Inserendo nelle canne della zampogna un rivestimento in fibra di carbonio ad esempio cambia la timbrica e lo strumento acquista una potenza di suono enorme, ma diventa anche molto più stabile, da concerto insomma».
È così che nasce quindi la famosa ‘zampogna standard’? Qual è il motivo che sta dietro la necessità di uno strumento del genere?
«Sì, è il frutto dell’evoluzione, con la zampogna della tradizione a cui sono applicate delle chiavi apposite e a cui si apportano notevoli migliorie tecniche. In questo modo la zampogna ha una timbrica molto più potente, oltre che tutta la scala cromatica. Si possono quindi suonare melodie che con quella tradizionale non si riuscirebbe ad eseguire. È stata un’idea, inizialmente, del noto maestro e musicista Piero Ricci, poi l’abbiamo anche realizzata assieme».
Ma come è fatta una zampogna?
«La zampogna è costituita da vari elementi. Ci sono le canne, dette anche fusi, poi la testata che è un convogliatore di aria, c’è la riserva, l’insufflatore, attraverso cui l’aria si spinge col soffio e che viene poi pompata col braccio del suonatore e che si propaga nelle varie canne facendo vibrare le ance, due lamelle curve molto ravvicinate che considero l’anima della zampogna. Banalmente, infatti, sono le ance doppie che rendono così caratteristico il suono di questo strumento. E infine ci sono le campane, che fungono da amplificatori e le chiavi, che io costruisco con la stampante 3D, ma che prima invece si facevano a mano usando talvolta i cucchiaini del caffè».
Anche le canne sono diverse, ognuna con la sua funzione?
«Esatto: c’è la ‘manca’, che si chiama così perché viene suonata con la mano sinistra; la ‘ritta’ con cui si esegue la melodia ed è suonata con la mano destra. Poi c’è il ‘bordone’, che prima faceva una nota unica e ora invece, grazie all’innovazione, ne fa quattro. Cosa che ha moltiplicato il numero di accordi possibili dello strumento. Prima, invece, il repertorio era limitato. E poi c’è un altro bordone più piccolino, detto il ‘muto’, che solitamente non si fa suonare ma che invece a me piace utilizzare perché emette un suono più acuto. Dalle parti nostre si usa poco, in altre zone invece si usano di più, come in Sicilia dove le zampogne sono perlopiù a canne corte e hanno suoni più acuti».
Passando all’aspetto creativo: come si sviluppa il processo di lavorazione di una zampogna?
«Il lavoro ovviamente parte dal tronco. Io uso maggiormente legno d’ulivo, ciliegio, sorbo, acero ma si possono usare anche legni molto più pregiati come l’ebano, il wenge o il bosso del Brasile. Scelto il legno se ne realizzano dei pezzi su misura ognuno rapportato alle varie parti della zampogna. Questi pezzi poi si forano e al loro interno si ricava la canna. È questa forse l’operazione più difficile, perché basta un decimo di millimetro di errore e la zampogna non si accorda. Una volta fatto il foro iniziale si lascia riposare il legno anche un anno perché deve maturare. Poi si riprende il pezzo e si fa la lesatura interna. Poi ovviamente si passa al lavoro di rifinitura esterna nel tornio e all’assemblaggio vero e proprio, una volta pronti i singoli pezzi».
Quanto tempo si impiega quindi per realizzarne una?
«Bisogna calcolare un annetto per la stagionatura del legno, ma complessivamente per la realizzazione vera e propria dello strumento si impiegano all’incirca 20/25 giorni. Fare le ance, accordare la zampogna: sono anche quelle operazioni che richiedono tempo».
E una volta realizzato lo strumento, puoi dirci cosa si prova?
«È una grandissima soddisfazione, difficile da descrivere. Vedere realizzato lo strumento ma soprattutto sentirlo suonare: è come se nascesse un figlio. È una creatura vera e propria: il tempo impiegato e la stessa natura di cui è fatta che prende vita nel suono che poi emette. Quello della zampogna è infatti un suono che esiste già in natura, nel legno, nell’aria, ma grazie al lavoro dell’uomo diventa musica, come una voce che viene fuori dal profondo dell’anima racchiusa nel mondo che ci circonda».
Se dovessi lanciare un messaggio, vista la grande passione che ti lega a questo strumento, cosa diresti?
«Lo stesso messaggio che lanciamo ogni volta che suoniamo: appassionatevi a questo strumento perché è meraviglioso. Quella della zampogna è una tradizione che merita di essere conservata, perché con essa si conservano storie, vite, racconti, leggende, emozioni. E per l’area del Matese rappresenta un valore inestimabile da tutelare».

Giorgio Rico

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