Una lezione ‘di vita’ quella che il Maestro Mogol ha regalato agli studenti e al pubblico che ieri mattina ha affollato l’aula magna dell’Unimol. L’incontro è stato fortemente voluto dal rettore Luca Brunese, del resto Giulio Rapetti è ancora oggi il più grande paroliere della musica italiana. Una carriera lunga 50 anni, costellata da testi che hanno fatto la storia. Il maestro Mogol ha ripercorso tutta la sua vita professionale, partendo «dalle prime 5 mila lire guadagnate da una canzone», e poi gli artisti a cui ha ‘prestato’ la sua penna: Lucio Battisti, Caterina Caselli, Mina, Riccardo Cocciante, Adriano Celentano Celentano, Mango, solo per citarne alcuni.
Un dialogo schietto e profondo con gli studenti dell’Unimol, incentrato sul talento, la creatività e l’autostima. «Il talento – ha detto rivolgendosi al pubblico – non è per pochi, come erroneamente vogliono farci credere. Lo acquisiamo tutti dalla nascita e bisogna individuarlo e coltivarlo, lavorarci con impegno e autocritica, perché di colpo può fare un salto spaventoso». Un po’ come faceva Battisti, «un artista – ha raccontato – che non amava i complimenti ma apprezzava molto di più le critiche. L’umiltà è il segreto del successo in questo campo».
Il Maestro ha poi spiegato come nasce il testo di una canzone e da dove ha sempre tratto l’ispirazione: «Quasi tutte le canzoni che ho scritto hanno a che fare con la mia vita. Io preferivo, piuttosto che cercare dei soggetti che facessero successo, parlare di cose che avevo vissuto perché la vita non è la fiction è un’altra cosa».
Ma cosa è cambiato rispetto a 40 anni fa? Il mondo social ha certamente rivoluzionato anche e soprattutto il settore della musica, e non sempre in meglio. «La musica d’autore è un’affermazione nel tempo, se dopo 10 anni ancora si canta una canzone vuol dire che questa è entrata nella cultura popolare del nostro Paese. Prima le canzoni le sceglievano i dj che erano degli esperti, ora ci si basa sui follower. E questo purtroppo a scapito della valore della musica e del testo». Ad accogliere lo scrittore e produttore, oltre al rettore Brunese, anche il sindaco di Campobasso Roberto Gravina e il governatore Donato Toma. «Nei suoi testi si possono cogliere gli stili, la moda, i costumi, le problematiche e le tematiche dell’Italia a partire degli anni Sessanta. Al di là della valenza artistica e poetica – ha commentato il presidente della Regione – la sua opera è, dunque, fondamentale per capire la storia del Paese e i suoi cambiamenti. Non è un paroliere, è il paroliere».

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