La scena del crimine ‘oggettivamente modificata’. La possibilità che qualcuno abbia aiutato Irma Forte nelle ore successive all’omicidio e precedenti la telefonata con la quale si sono allertati Carabinieri e Procura. L’arma del delitto, che sarebbe stata individuata (come anticipato proprio da Primo Piano Molise nell’edizione di ieri) ma che sarebbe stata anche parzialmente distrutta. Insomma, la confessione resa davanti al gip dalla donna accusata di aver ucciso il marito, il 72enne Carlo Giancola, non basta a dipanare i dubbi e gli interrogativi della Procura del capoluogo pentro.
Il racconto della notte dell’omicidio – che viene descritto come efferato -, la ricostruzione – seppure ancora non dettagliata come del resto hanno anche rimarcato i legali nelle scorse ore – delle fasi del delitto e del motivo della reazione della donna, la fotografia di 40 anni e più di vita che Irma Forte avrebbe trascorso nella paura e nell’angoscia, consegnata al gip Michaela Sapio l’altra mattina nel corso dell’interrogatorio di garanzia, meritano approfondimenti ulteriori per il procuratore Carlo Fucci.
Il caso dell’omicidio volontario aggravato della vigilia di Natale non è affatto chiuso. Anzi, le parole del procuratore capo aprono a nuovi scenari che fanno anche presupporre la possibilità – al momento non suffragata da certezze ma solo ipotizzata – che potrebbero finire nel registro degli indagati anche altre persone. Non in qualità di materiali autori del delitto che, come detto, Irma Forte ha confessato l’altro ieri mattina.
IL GIP SAPIO CONVALIDA L’ARRESTO E CONFERMA I DOMICILIARI, ACCOLTA LA RICHIESTA DEI LEGALI DELLA DONNA
Martedì sera intorno alle 20, è stata comunicata ai difensori la decisione assunta dal gip Michaela Sapio dopo una lunga camera di consiglio. Per la Procura, Irma Forte doveva essere trasferita in carcere, il giudice per le indagini preliminari invece ha accolto la richiesta del collegio difensivo della donna, rappresentata dagli avvocati campobassani Giuseppe De Rubertis e Demetrio Rivellino. Convalidato il fermo e confermati gli arresti domiciliari che la 66enne sta scontando, fin da subito, nell’abitazione di un suo parente stretto, pare il fratello, sempre a Santa Maria del Molise.
INQUINAMENTO DELLE PROVE E REITERAZIONE DEL REATO, LA RICHIESTA DELLA PROCURA: CUSTODIA CAUTELARE IN CARCERE
Di diverso avviso il procuratore Carlo Fucci che ieri ha inteso puntualizzare alcuni dettagli che aprono, come detto, ad una diversa ricostruzione dei fatti. «Il gip del Tribunale di Isernia – puntualizza il procuratore – sulla base sia di un impianto probatorio evidenziante un sufficiente quadro indiziario acquisito nelle ore successive all’omicidio sia sulla confessione dell’indagata, ha accolto la richiesta della Procura di convalida dell’arresto per omicidio volontario aggravato e di emissione di misura cautelare restrittiva. Il gip ha adottato però la misura cautelare degli arresti domiciliari, ritenendo la stessa idonea a salvaguardare le esigenze cautelari legate al pericolo di inquinamento probatorio, a fronte della richiesta della misura della custodia cautelare in
carcere formulata dalla Procura che ravvisava anche il pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie».
SEQUESTRATI LA CASA, UN TELEFONINO E LE PANTOFOLE: INDAGINI IN CORSO, I DUBBI DELLA PROCURA
L’appartamento di via XXV Settembre, all’ingresso di Santa Maria del Molise, è ovviamente sotto sequestro. Dal verbale, oltre alla casa, risultano sequestrati anche un paio di pantofole e un telefonino. Le indagini, condotte dal procuratore Carlo Fucci e dai due sostituti assegnatari del procedimento, sono state affidate ai carabinieri della Compagnia di Isernia e ai reparti speciali dell’Arma. Ma, soprattutto, non sono affatto concluse. Perché la confessione resa da Irma Forte -secondo la Procura – non consente di mettere un punto alla ricostruzione dell’omicidio. Indagini a tutto campo, quindi, per acquisire, come spiega proprio il procuratore Fucci, «eventuali riscontri alle dichiarazioni dell’indagata e ulteriori elementi probatori». Ad oggi, «la ricostruzione è incompleta e non sono chiari taluni aspetti della dinamica dell’omicidio e della fase successiva».
ALTERATA LA SCENA DEL CRIMINE
La definisce «oggettiva alterazione dello stato dei luoghi» il procuratore Carlo Fucci. Avvenuta, secondo quanto dichiara, «prima che fossero stati informati dell’omicidio la Procura della Repubblica di Isernia ed i carabinieri, dunque prima dell’intervento degli inquirenti sul luogo dell’omicidio». Secondo fonti bene informate, come anticipato sempre da Primo Piano, l’omicidio sarebbe avvenuto durante la notte tra il 23 e il 24 dicembre ma, ovviamente, sarà l’esito dell’autopsia a chiarire le cause della morte dei Carlo Giancola, ferito alla testa con un corpo contundente, e anche il range orario nel quale collocare il decesso. Esame quindi assolutamente rilevante per consentire la ricostruzione del delitto, nonostante la confessione resa da Irma Forte. E questa mattina dovrebbe essere formalizzato l’incarico al medico legale che effettuerà l’esame autoptico sul corpo del 72enne.
L’ARMA DEL DELITTO: UN CEPPO DI LEGNO POI BRUCIATO?
Dalle indiscrezioni che filtrano sul caso, sembra assai verosimile che l’arma del delitto – che ufficialmente non è stata ancora trovata – possa essere un ceppo di legno presente nella cucina dell’abitazione, sotto il camino. Da quanto si è appreso, la donna avrebbe raccontato al gip di essere andata a letto, quella sera, e di aver chiamato il marito invitandolo a riposare. Nelle ore precedenti il delitto (e non solo), fra moglie e marito sarebbero stati frequenti i litigi. Una situazione che, a detta della donna, andava avanti ormai da decenni. Quella sera, sempre secondo fonti bene informate, l’uomo avrebbe preso il ceppo di legno da ardere e, brandendolo, si sarebbe avvicinato alla donna. Che sarebbe riuscita a sfuggirgli e poi ad impossessarsi di quell’arma con la quale lo avrebbe colpito a morte. L’arma del delitto non è stata ancora trovata, quindi. Ed è proprio il procuratore Fucci a rilevare che «le ulteriori attività investigative, effettuate dai carabinieri e coordinate dalla Procura, hanno consentito di ritrovare, a seguito di un ulteriore sopralluogo nell’abitazione in questione, alcune delle “cose pertinenti al reato” commesso, deliberatamente tolte dall’ambiente ove è stato consumato l’omicidio». Dichiarazioni ufficiali queste che si incastrano perfettamente con le indiscrezioni che filtrano da ambienti bene informati: il pezzo di legno, che sarebbe stato usato nell’omicidio, potrebbe essere stato parzialmente distrutto proprio nel camino. E sarebbe proprio quel che resta dell’arma del delitto ad essere stato ritrovato nel sopralluogo successivo di cui parla il procuratore e sul quale, di certo, saranno espletati ulteriori approfondimenti scientifici.
L’INCHIESTA SI ALLARGA, CI SARANNO ALTRI INDAGATI?
Il dubbio s’insinua, stante il lasso di tempo che sembrerebbe separare il momento in cui è avvenuto il delitto – e che sarà ‘certificato’ con l’autopsia – e la telefonata con la quale la donna ha chiesto aiuto. Non solo: «l’oggettiva alterazione dello stato dei luoghi», come spiega il procuratore, sembrerebbe suggerire che le indagini siano concentrate anche su quanto potrebbe essere accaduto in quella casa e in quel lasso di tempo ancora non quantificato. Minuti, ore? Si potrebbe ipotizzare – sempre che le indiscrezioni sul ritrovamento parziale dell’arma siano poi confermate – che sia stata proprio la donna a gettare l’arma del delitto nel camino, in preda al terrore per quanto accaduto e afflitta dallo stato confusionale riscontrato anche all’arrivo delle forze dell’ordine, la mattina del 24 dicembre. Motivo che ha spinto gli inquirenti al trasferimento della donna al Pronto soccorso del Veneziale. E la stessa situazione psicologica di prostrazione e di confusione è stata poi il motivo per il quale, la mattina del 26 dicembre, la donna non è stata in grado di rispondere alle domande del pm Gaeta. Fino a ieri, quando davanti al gip ha confessato – anche se la ricostruzione dei fatti non è completa – l’omicidio e ha chiesto scusa ai figli. «Li ho rovinati» avrebbe detto e ridetto, più volte. La Procura ipotizza che ci siano state altre persone in via XXV Settembre, che avrebbero inquinato la scena volutamente. La donna, dopo il delitto, potrebbe aver chiamato qualcuno, chiedendo aiuto, e solo la mattina dopo sarebbe partita la chiamata ai carabinieri di Macchiagodena.
Ed è anche su questo filone di indagine che si concentra la Procura.
ls

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