Quando si dice il caso (o forse no, perché non sembra questione affidata al destino): si celebra il 162esimo anniversario dell’Unità d’Italia mentre il governo Meloni decide di accelerare sull’autonomia differenziata. E i primi cittadini scendono in piazza – sotto l’egida dell’associazione ‘Sindaci Sud Italia’ – per manifestare le perplessità (per usare un eufemismo) al disegno di legge Calderoli per l’autonomia differenziata che nei giorni scorsi ha avuto il via libera della Conferenza delle Regioni. Fra i sì, anche il voto favorevole della Regione Molise.
«Il consenso di Toma all’autonomia differenziata non fa altro che evidenziare la distanza abissale del governatore rispetto alle reali esigenze di questa terra – sintetizza il sindaco di Isernia, Piero Castrataro, con la consueta pacatezza -. Lo dimostra anche il suo arroccamento nelle scelte in materia di sanità, sempre più distanti dalla realtà e dai bisogni dei cittadini, come lo dimostra il comportamento assunto in queste ore circa il caos suscitato dalla vicenda delle surroghe, con scelte che sembrano fatte per il mantenimento del potere fino alla fine. Non a caso si tornerà alle urne nell’ultima data utile, il 25 giugno» rilancia, riferendosi all’ultima notizia in ordine di tempo che segue la sentenza della Cassazione. Le dimissioni dell’assessore Niro che domani non consentiranno ad Antonio Tedeschi di rientrare a Palazzo d’Aimmo.
Il tema però è il voto a favore espresso dal presidente Toma al famigerato Ddl Calderoli. L’autonomia differenziata si avvicina a grandi passi. I tempi sembrano già scritti. E i sindaci sono in trincea. Il prossimo 17 marzo, le fasce tricolore si vedranno a Napoli, sotto lo slogan «Uniti e Uguali: sindaci e cittadini insieme per la solidarietà nazionale contro l’autonomia differenziata».
Un voto a favore, quello espresso da Toma, che ha suscitato proteste e ferme prese di posizione, non ultime quelle dei sindaci Di Ianni e Paglione per restare al territorio della provincia di Isernia. Piccoli centri, che soffrono già degli effetti dello spopolamento, del progressivo e inesorabile invecchiamento della popolazione e della carenza e del costante taglio ai servizi essenziali rimasti.
«Siamo arrivati al sì al disegno di legge Calderoli senza alcuna riflessione, senza alcun dibattito – riflette il sindaco di Isernia, Pietro Castrataro –, occorreva stare attenti. E da tempo» chiosa il primo cittadino del comune capoluogo che, il prossimo 17 marzo a Napoli, ci sarà.
Non demolisce, però, Castrataro. Ragiona su quelli che oggi dovrebbero essere gli opportuni passi da fare, per arrivare ad una riforma (che arriverà, su questo non sembrano esserci dubbi) che rischia ovviamente di aumentare quel divario già tangibile che segna l’oggi e il futuro delle regioni del Sud Italia.
«Il rapporto di Banca d’Italia presentato qualche giorno fa a Campobasso racconta di un divario che è già esistente e una riforma di tale impatto, messa a terrà così come è senza essere declinata nel modo corretto e in maniera più confacente alle realtà coinvolte, rischierebbe solo di aumentarlo. La distanza, il divario si sta ampliando.
La preoccupazione ovviamente c’è. Si rischia di avvantaggiare chi è già forte perché, venendo a mancare quel meccanismo di compensazione, gli investimenti nelle regioni del Mezzogiorno saranno sempre meno.
E poi, mi domando, se non vengono prioritariamente definiti i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale perché riguardano diritti civili e sociali da tutelare per tutti i cittadini, come potrà partire il trasferimento delle funzioni come immaginato dal Ddl Calderoli?».
Evidente che il sindaco Castrataro, così come i suoi colleghi, si interroghi su quello che potrebbe accadere di qui a qualche mese – forse – se l’iter del ddl Calderoli dovesse camminare in maniera spedita (e così sembra) alla luce di quella che è la fotografia del Comune che guida. Che, per inciso, pur essendo il più popoloso della provincia, avverte ugualmente tante difficoltà legate a trasferimenti mancati, a risorse che arrivano con tempistiche lumaca, al taglio di servizi essenziali come quelli legati alla sanità che, per il sindaco, non dovrebbe rientrare proprio fra le ‘materie’ coinvolte.
«La preoccupazione c’è – ribadisce Castrataro – ritengo che occorrerebbe, intanto, determinare i Lep e poi capire quale la situazione dalla quale si partirà. Avere ben chiaro lo stato dell’arte, consentirà di individuare anche un metodo per eventualmente attuare questa riforma. Noi soffriamo in maniera pesante dello spopolamento, paradossalmente se continua a scendere il numero degli abitanti, come si potranno gestire i servizi senza le economie di scala? Al di là dei tecnicismi, il Paese vive uno scollamento forte tra Nord e Sud: il primo non riesce più a trainare l’economia e il secondo, la cui popolazione continua ad invecchiare, vive l’impossibilità di offrire servizi. E l’autonomia differenziata renderà questa frattura ancor più netta. Perché dal Mezzogiorno d’Italia si continuerà a partire, i piccoli centri continueranno a svuotarsi, verranno a mancare le energie e le competenze».
Un cane che si morde la coda, si potrebbe dire per rendere plastico il concetto. E una soluzione, ad una eventualità che difficilmente registrerà un passo indietro se non uno stop, potrebbe esserci.
L’autonomia differenziata è quello che ci aspetta? Allora facciamo in modo che non cada dall’alto e a freddo la sintesi del suo ragionamento. Che nei fatti significa cercare di attutire il colpo nel miglior modo possibile.
«Intanto, a mio avviso occorre cominciare a lavorare prima che entri in vigore l’autonomia differenziata per ridurre il divario che già esiste e che, se le cose resteranno così, è solo destinato ad aumentare – la posizione di Castrataro -. Condivido l’allarme ma mi sono fatto un’idea: anche senza l’autonomia differenziata, è assai difficile che si possa andare avanti così. Ritengo che dovremmo cominciare seriamente a riprendere l’idea delle Unioni dei Comuni. Così come stanno le cose, è difficile sopravvivere senza fare fronte comune. E poi, prendiamoci le responsabilità, noi sindaci, di quello che non ha funzionato e ragioniamo di come uscir fuori dall’impasse. Poi, ovviamente, mi chiedo e non sono il solo, come mai lo Stato che ha assistito nell’ultimo decennio all’ulteriore differenza che registriamo tra Nord e Sud, possa pensare che l’autonomia differenziata dovrebbe non favorire l’aggravarsi del divario. L’Italia cresce se crei occupazione, se soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, le donne entrano nel mercato del lavoro. E questo potrebbe essere un secondo passo verso la riduzione di quel divario. Ritengo che debbano esserci delle azioni intermedie prima di arrivare alla completa attuazione dell’autonomia differenziata.
Ma ovviamente credo che non sia proprio il momento storico per questa riforma. Che non può essere calata dall’alto, senza alcun confronto con i territori che ripeto è mancato, nel momento in cui il divario tra Nord e Sud aumenta, quando il trend non si inverte. Non è un problema discuterne, occorre farlo con cognizione di causa. E poi – chiosa Castrataro – questo argomento non può essere oggetto di una contrattazione politica.
La politicizzazione che sembra emergere nell’iter che sta segnando questo passaggio epocale non tiene in conto degli effetti sui territori, sulle comunità.
Guardi, io sono un tecnico.
Mi verrebbe da chiedere come mai non si è pensato di ‘testare’ l’autonomia differenziata in una regione laboratorio. Per capire davvero cosa potrebbe accadere senza atti preparatori, decisioni intermedie che possano facilitare questa eventuale trasformazione.
Un test che metta in luce gli effetti reali, senza distruggere un intero paese».
ls

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