Quella ormai alle porte sarà molto probabilmente una delle campagne elettorali più feroci dalla storia della XX Regione. È evidente già da un po’ di tempo che c’è tanta, forse troppa confusione. In un periodo dove invece i molisani hanno voglia, desiderio, necessità di tranquillità. Hanno bisogno di fatti, azioni, programmi che possano dare almeno una speranza per il futuro.
Un ruolo importante, se non fondamentale, lo giocano gli organi d’informazione. E chi scrive, nella decennale esperienza a Primo Piano Molise, non ha memoria di un quadro così a tinte fosche.
Descrivere quanto accade non è semplice. Ma non lo è per quello che realmente accade: lo è perché tra gli addetti ai lavori della politica si moltiplicano di giorno in giorno coloro che, come si suol dire, «mettono carne a cuocere» pur di alimentare la confusione.
Fondamentalmente ci sono tre entità e qualche cespuglio intorno a cui ruota la giostra elettorale. Una è ben definita, almeno nelle intenzioni. Ed è quella che fa capo ad Antonio Federico e Patrizia Manzo: il Movimento 5 Stelle.
Poi ci sono il centrodestra e il centrosinistra. E qui cominciano le note dolenti.
Nel centrodestra la lettura sarebbe abbastanza semplice. C’è il presidente del Tribunale Enzo Di Giacomo proposto dai movimenti civici di cui fa parte anche Massimo Romano e su cui si ritrovano tutti i partiti della coalizione, fatta eccezione di Michele Iorio che, legittimamente (e per alcuni aspetti ha ragioni da vendere), ambisce ad essere ricandidato alla presidenza. Ma su lui sono stati posti diversi veti, tra cui quello dell’eurodeputato di Forza Italia Aldo Patriciello, che nel 2013 – pur di non appoggiare Iorio – scese in campo con Paolo Frattura.
Sempre nel centrodestra, un ruolo decisivo lo stanno giocando taluni ambigui personaggi: sono coloro che lavorano ai fianchi, senza mai uscire allo scoperto e, quindi, senza metterci la faccia, per far sì che il magistrato – persona di uno spessore tale che poco si addice al livello politico regionale – perda l’entusiasmo. Il presidente Di Giacomo, da quanto si apprende, in settimana potrebbe sciogliere le riserve. Ma la sua decisione è subordinata all’unità della coalizione, quindi civici e centrodestra.
E se il giudice dovesse dire di «no»? Patriciello e Forza Italia punterebbero su Mario Pietracupa. Ma a quel punto si risveglierebbero gli appetiti di Fratelli d’Italia che ha già indicato Filoteo Di Sandro, dei sovranisti che vedono bene Giovancarmine Mancini, di Noi con Salvini (la cui posizione all’interno dello schieramento è ancora in dubbio) che ha proposto la candidatura di Aida Romagnuolo. Quindi, tutto ancora in alto mare.
Nel centrosinistra il candidato naturale sarebbe Frattura, semplicemente perché uscente. Ma intuito che la rielezione alla Camera e al Senato è cosa molto complicata, Danilo Leva e Roberto Ruta si sono inventati l’Ulivo 2.0, che è una commistione di soggetti che non ha riferimenti nel panorama nazionale. Leva, infatti, è uomo forte di Articolo Uno, Ruta non ha mai lasciato il Pd. È come se Renzi e Bersani (?) facessero una cosa insieme, politicamente si intende, in Toscana o in Emilia Romagna. Improbabile, forse impossibile. In Molise invece accade. Ma Ruta e Leva non vogliono governare la Regione, non hanno gli uomini e i numeri per farlo. Vogliono che Frattura perda, che è un’altra cosa. Poco conta poi se vince il Movimento 5 Stelle o il centrodestra o chicchessia. Purché Frattura, di cui sono stati i primi e i più convinti sostenitori, torni a casa. La prova (l’ultima in ordine cronologico), laddove servissero prove, sta nel vertice romano di qualche giorno fa tra Ruta, Fioroni, suo riferimento parlamentare, e Guerini del Pd. In sostanza, avendo certezza che Frattura non è intenzionato a mollare, il senatore, anziché sfidarlo elettoralmente – sarebbe la cosa più naturale e legittima -, sta lavorando sul livello nazionale per ostacolarne la ricandidatura.
Perché? Eh… Lì casca l’asino. Bisognerebbe chiederlo a Ruta che, è fatto noto, da almeno un paio di anni non rilascia interviste, né televisive, né giornalistiche. Ogni qualvolta almeno noi di Primo Piano lo contattiamo, risponde laconico: «Non parlo! Quello che ho da dire lo dico nelle conferenze ufficiali (?). Parlate con Danilo (Leva, ndr)».
In verità la fantasia ha abbondantemente superato la realtà e la confusione ha quasi raggiunto il punto di non ritorno. Ogni qual volta il governatore apre al dialogo, mostra la guancia, loro lo schiaffeggiano. Una sorta di gioco delle tre carte, dove il senatore e il deputato si sono divisi scientificamente i compiti. Ruta parlotta sottobanco un po’ con tutti, manda segnali più o meno distensivi. Frattura e i suoi sistematicamente ci cascano. E appena si mostrano possibilisti arriva Leva che, per dirla calcisticamente, entra a gamba tesa su tibia e perone. Traendo talvolta in inganno chi, come i cronisti, poi le notizie le riportano.
Molta confusione, in gran parte costruita con scientifico criterio. Ma qualche punto fermo c’è.
Il primo di questi è il Movimento 5 Stelle.
Poi ce ne sono altri due: Paolo Frattura e Michele Iorio non si sposteranno, in nessuna direzione (quindi indietro o di lato) nemmeno di un millimetro. Costi quel che costi.
Aldo Patriciello, a cui addetti ai lavori attribuiscono un grande lavoro di intelligence (tanto da sorprendere anche Berlusconi) in occasione dell’elezione di Antonio Tajani alla presidenza del Parlamento Europeo, al momento non ha ragioni per non sostenere la coalizione di centrodestra. E lo farà con ancor più convinzione alle elezioni politiche. Purché sia lui a dettare le regole.
Il resto è solo il disperato tentativo di personaggi più o meno noti di fare ammuina. La confusione giova sempre a qualcuno e può fruttare anche una comoda poltrona e un lauto compenso per i prossimi cinque anni.
Occhio però ai molisani: non hanno l’anello al naso. Tutt’altro.
luca colella

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