Chiuso nella camera d’albergo che lo ospita fin quando presterà servizio a Milano, in queste ore di riposo che impiega raccontando la sua esperienza, ripensa alle lacrime che ha visto scendere sul volto del figlio del paziente che avevano appena svegliato. Il primo pensiero del 70enne è andato subito al cane: come sta, ha chiesto al figlio. E giù un pianto irrefrenabile. Un pianto di gioia, per la vita ripresa letteralmente per i capelli.
Perché la rianimazione di questo si occupa: tenere in vita i malati di Covid (per cui non c’è ancora cura né vaccino) aspettando che l’organismo reagisca. Con medicinali tradizionali e farmaci autorizzati per l’artrite e utilizzati per la sindrome respiratoria acuta grave (l’acronimo inglese è Sars) da Cov-2, con terapie che richiedono di ‘intubare’ i pazienti, terapie molto lunghe. Al termine delle quali c’è bisogno di riabilitazione motoria e anche respiratoria.
Giovanni Colacci, 39 anni e infermiere dal 2007, fa parte della task force inviata al nord Italia. È l’unico molisano del primo contingente partito il 3 aprile. «Ero a casa, guardavo i tg. Medici, colleghi infermieri, operatori sanitari stavano arrivando a darci una mano dalla Russia, dall’Albania, da Cuba. Ho pensato: e io sto qui senza fare niente? Ho ascoltato poi il capo della Protezione civile Borrelli che parlava dell’attivazione della task force e di come si poteva fare domanda. L’ho fatto e mi hanno chiamato subito». Da Bojano in treno fino a Roma e poi con un aereo militare – insieme a lui e i suoi colleghi c’erano il ministro degli Affari regionali Boccia e il commissario straordinario Arcuri – a Bologna.
Lui è stato destinato all’ospedale Covid Fiera di Milano, dove c’è solo la terapia intensiva. «Appena arrivati – racconta a Primo Piano – abbiamo avuto un briefing con i primari e un corso intensivo di 12 ore. Poi ho chiesto, come pure gli altri miei colleghi, di stare in affiancamento al Policlinico un paio di giorni. Infine, ho cominciato alla Fiera. Di sicuro non ci hanno mandato allo sbaraglio. Anzi, qui c’è una professionalità elevatissima e una risposta del sistema, anche in termini tecnologici, veramente di altissima qualità».
In Fiera si lavora tuttora notte e giorno per approntare altri padiglioni, il primo è stato realizzato in dieci giorni grazie a 21 milioni di finanziatori privati e donato al Policlinico di cui costituisce un reparto. Ha accolto i primi pazienti lunedì. Una promessa mantenuta dall’ex capo della Protezione civile Bertolaso, consulente della Regione Lombardia. Per chi sta dedicando la propria professionalità all’assistenza dei malati in Fiera, una crescita notevolissima in termini umani e lavorativi. A Bojano Giovanni Colacci è dipendente di Villa Esther (dove è anche rappresentante sindacale Ugl), che come tutte le strutture sanitarie convenzionate che lavorano in elezione a causa dell’emergenza ha dovuto ridurre o sospendere le attività e mettere quindi in ferie il personale tenendo un contingente minimo. Per questo, Giovanni ha chiesto a Marco Di Biase, titolare della clinica ed ex sindaco di Bojano, di poter andare a dare il suo contributo e anche respiro ai colleghi lombardi che finora avevano lavorato ‘sotto assedio’. L’assenso è arrivato subito.
Il 39enne è infermiere di sala operatoria. Mansione in cui è fondamentale la vestizione. Nel trattamento dei ‘covid’ lo è ancora di più la svestizione, quando si esce dal reparto e dal contatto quindi con pazienti contagiati si deve curare ogni minimo dettaglio per evitare di toccarsi in maniera non protetta anche solo per un attimo. Prima di far prendere servizio agli infermieri in Fiera, una specifica ‘lezione’ ha riguardato proprio le operazioni di vestizione e svestizione.
In reparto inoltre ci sono dispositivi tecnologici dedicati, tra cui tablet per far parlare i pazienti con i parenti.
Ci sono le gioie, naturalmente. Ma c’è tanta sofferenza. Da Milano Giovanni rientrerà cambiato, arricchito nell’anima pur se testimone di storie difficili da metabolizzare. La sua famiglia a Bojano è molto nota per l’attività dei fuochi d’artificio a cui si dedica per tradizione, lui pure in estate dà una mano. A casa, dove tornerà intorno al 25 aprile, lo aspettano la moglie e la loro bambina. Preoccupate, soprattutto la moglie, come è fisiologico che sia. Ma anche, soprattutto, infinitamente orgogliose di lui. Come è giusto che sia.
rita iacobucci

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