Tre giorni dopo il bagno di folla di San Martino in Pensilis, tocca oggi alla Carrese di Ururi, che vivrà dello storico duello tra i carri dei Giovani (che vinsero lo scorso anno) e dei Giovanotti, rigorosamente in questo ordine di partenza, dopo la mancata iscrizione del carro dei Fedayn. La commissione di vigilanza nel tardo pomeriggio di ieri si è riunita in municipio per dare il via libera alla manifestazione, dopo la verifica delle condizioni di sicurezza, propedeutiche allo svolgimento, visto il rigido protocollo disciplinare introdotto per le corse dei carri (e non solo). Biancocelesti e giallorossi, sfida cromatica e di passione, lungo un tracciato di 3,3 km, che dalla periferia condurrà sino alla piazza principale di Ururi, che segna il traguardo. Abbiamo chiesto a Pietro Dilorenzo, che ha curato assieme a Enrichetta Glave un saggio storico di ricostruzione della tradizione arbereshe, di introdurci nel clima dell’avvenimento. «i protagonisti della Corsa, restano i buoi che per noi ururesi non sono dei bovini anonimi, bensì dei compagni di viaggio con una propria identità e un nome. I nostri avi ci hanno tramandato nomi di buoi che hanno fatto storia: Kau Elnes, Uokj Nir, Ramajè negli anni ‘30, per poi passare a Kau Don Gasperini, Jair, Belfiore. In epoca più recente Kau I Bard E Kau I Ses, Ringo E Cavaliere, Bertinotti e Murito. Una menzione particolare merita una mucca, Lopa Tmbashkut che unica nella storia partecipò ad una delle prime corse del dopoguerra, realizzando una sorta di parità quasi a celebrare la parità della donna guadagnata con la neo nata Costituzione Italiana. Fughiamo, innanzitutto, qualsiasi ipotesi circa la matrice arbereshe della Corsa dei Carri di Ururi. Gli atti dimostrano come nel ‘700 la Corsa dei Carri di San Martino in Pensilis fosse un evento consolidato, mentre gli Ururesi erano da poco diventati cattolici romani, e feudo del Barone, Vescovo di Larino e posti sotto il patronato della Santissima Trinità. Solo verso il 1820 la Parrocchia riceve una preziosa donazione da parte della nobile famiglia Giammiro: un frammento del Santo Legno della Croce che conquista subito la devozione della popolazione che inizia a tributargli una solenne festa popolare, come testimoniato dagli atti parrocchiali datati 1861,senza ancora essere Patrona della Comunità. In quegli anni pare che la Corsa non ancora si svolgesse, tanto che un certo Domenico Agreste riferiva che la prima Corsa dei Carri di Ururi si celebrò non prima del 1885. A conforto di questa testimonianza, il primo documento scritto che fa riferimento alla Corsa risale al 1889. Indubbiamente la Corsa di San Martino aveva da sempre affascinato i vicini arbereshe tanto che quest’ultimi ne mutuarono la celebrazione adattandola alla propria identità. Ai suoi albori la corsa era appannaggio delle famiglie della borghesia rurale che disponevano di uomini ed animali, ma anche di relazioni con i proprietari terrieri della vicina San Martino. Ai primi del Novecento, le simpatie degli ururesi erano divise fra due fazioni: Kieria Drelartit (il carro di sopra) e Kieria Dreposhtit (il carro di sotto). Il primo raccoglieva il sostegno del borgo storico, ad appannaggio delle famiglie Salvatore, De Rosa, Grimani, Tanassi, Sabetta, Granitto. Il secondo carro gravitava nella parte più nuova del paese, quindi le famiglie Licursi, Plescia, Frate ed un altro ramo dei Salvatore. Il carro poteva essere senza dubbio identificato come un clan di Amici, vicini di casa, compari e garzoni che sostenevano il carro dei loro “padroni”. La connotazione padronale dei carri si è conservata per oltre mezzo secolo; solo verso il 1960 si viene a marcare in maniera sempre più netta la dicotomia Giovani e Giovanotti. Non mancavano negli anni partecipazioni anche estemporanee di carri formati anche solo per poche edizioni: carro Gil, carro Gibia, i Cacciatori, i Greco, il carro Aurora, la Cittadella. Spesso i carri emergenti erano l’espressione della dissidenza maturata all’interno dei carri storici all’interno dei quali potevano maturare delle scissioni, vedi il carro dei Giovanissimi o i Fedayn. Verso gli anni ‘30 una violenta grandinata porta gli Ururesi a invocare il Santo Legno della Croce, tanto che il parroco dell’epoca, durante il nubifragio del 14 giugno 1933 pone il prezioso reliquiario sul selciato del sagrato della chiesa, pare fermando la grandinata. Alle sue origini l’intera festa si svolgeva nella giornata del 3 maggio: dopo la corsa dei vitelli, si svolgeva la Corsa dei Carri, non più tardi delle ore 10.30. Alle ore 12 il carro vincitore addobbato a festa e fregiato dalla bandiera della Vittoria, accompagnava il Santo Patrono in Processione. Con il passare degli anni la corsa divenne sempre più ingombrante, tanto da far slittare continuamente l’orario della Processione, tanto che nel 1974 si decise di dedicare il giorno 3 alla Corsa e il giorno 4 alle funzioni religiose.
Oggi la corsa si svolge con il traino a due buoi, ma nasce con il caratteristico tiro a quattro buoi. Questo fino al 1973. Il giorno 2 maggio (ieri, ndr), verso l’imbrunire, i carri solennemente addobbati a festa ricevono la Benedizione del Parroco. Il giorno 3 (oggi, ndr), carristi, cavalieri ed animali, verso le ore 15 ricevono la Benedizione e si dirigono verso il luogo di partenza, fissato all’altezza del “Pino” nella tenuta Bosco Pontoni, a 3,300 km dal traguardo. Ogni carro si posiziona secondo l’ordine di merito guadagnato nell’edizione precedente. Si pongono in senso opposto al senso di marcia a 25 metri l’uno dall’altro, ed un nutrito numero di addetti tiene serrati gli animali in attesa dell’ordine di partenza che viene dato dal sindaco. Sono momenti di silenzio surreale, ognuno riesce a percepire il battito cardiaco del vicino, i cavalli scalpitano, i buoi scuotono ritmicamente la coda. “Girate e partite” queste le parole liberatorie di un boato che riempie il tratturo e si propaga come in un eco nel centro abitato assiepato di spettatori. I buoi si lanciano in uno scatto poderoso, due cavalli li affiancano per guidarli, il rimanente dei cavalieri segue il carro.
Giunti in paese, la peculiarità della Corsa dei Carri, lo sdoppiamento del percorso: il primo carro è obbligato ad imboccare via del piano e via tanassi attraverso due insidiose curve a 90 gradi, gli altri carri sono liberi nella scelta, ma ovviamente scelgono di continuare su via provinciale e dirigersi verso la piazza lungo via Trinità. E’ propri o l’incrocio fra via Tanassi e via Trinità, spesso, a decretare le sorti della Corsa. Il traguardo è posto all’imbocco di via commerciale e di li a pochi metri, ai piedi della chiesa madre il carro vincitore riceve dal sindaco la storica bandiera tricolore con il simbolo della Croce e la scritta di Costantiniana memoria: In hoc signo vinces. Da quel momento un bagno di tifosi accompagnerà il carro lungo le vie del paese sulle note della marcia del Piave. Gli sconfitti, amareggiati, si allontanano, con il saluto “Dukemi Mot”, cioè “ci rivediamo l’anno prossimo”… In una sorte di sfida e di augurio affinché la corsa non finisca mai».

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