Approda oggi alla Suprema corte di Cassazione il processo penale a carico di don Marino Genova, dopo le due condanne avute in primo e secondo grado di giudizio ai tribunali di Larino e in Corte d’appello a Campobasso. Sarà il momento clou della vicenda che ha sconvolto il basso Molise e non solo, dopo la denuncia presentata da Giada Vitale per la vicenda che l’ha vista abusata quand’era minorenne. Per il resto della loro storia il gup di Larino ritenne il non luogo a procedere. Legalmente, Giada Vitale, si affida ai nuovi avvocati Pasquale Mautone e Pietro Cirillo, col supporto della psicologa Luisa D’Aniello, che sta seguendo la ragazza da qualche tempo. Proprio da loro sono partite le iniziative più recenti, ossia la richiesta inoltrata alla diocesi di Termoli-Larino e in solido anche alla parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Portocannone e allo stesso don Marino Genova di un milione di euro e l’interrogazione parlamentare poi redatta formalmente dalla deputata pentastellata Stefania Ascari. Giada Vitale ha compiuto 25 anni lo scorso 20 giugno e presentò la denuncia il 5 aprile 2013, dichiarando di essere stata vittima condotte sessualmente abusanti da parte del querelato iniziate nel corso dell’anno 2009 e protrattesi negli anni successivi. Nei confronti di Don Marino Genova è stata già avanzata la richiesta di risarcimento del danno limitatamente ai fatti accaduti sino al 20 giugno 2009 mediante la costituzione di parte civile nel giudizio penale. Per questi motivi, nella qualità di procuratori e difensori di Giada Vitale, hanno richiesto a tutti gli effetti di legge ed in forza dei titoli e nei limiti dedotti nei punti precedenti, l’integrale ristoro di tutti i danni (materiali, morali, biologici ed esistenziali) subiti e subendi che vengono quantificati nella complessiva somma di un milione di euro, facendo salva ogni ed ulteriore modifica della domanda risarcitoria che dovesse rendersi necessaria in conseguenza della sopravvenuta irrevocabilità della sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Campobasso n° 329/2019. Sarà la Corte di Cassazione a decidere sul ricorso promosso dalla Procura generale contro la sentenza di appello nel caso di don Marino Genova. La riduzione della pena da 6 anni e sei mesi a 4 anni e dieci mesi disposta dalla Corte di Appello di Campobasso nel giudizio penale di secondo grado a carico di don Marino Genova, per gli abusi commessi sull’allora minorenne Giada Vitale, in sede di motivazioni, non è piaciuta alla Procura generale presso la medesima Corte del capoluogo, tanto da vederla impugnata. «Il presente ricorso riguarda esclusivamente le questioni attinenti al trattamento sanzionatorio, in particolare la determinazione della pena ex. articolo 133 del codice penale e l’erronea applicazione della diminuente per minore gravità ai sensi del penultimo comma dell’articolo 609 quater. Nell’esercizio del potere discrezionale ai fini dell’applicazione della pena il collegio non ha tenuto conto – scrive la Procura – della gravità del reato desunta dalle modalità dell’azione e della reiterazione nel tempo delle condotte contestate in violazione dell’articolo 133 cp. Le condotte a sfondo sessuale poste in essere dal sacerdote si sono ripetute nel tempo e ciò rende i fatti più gravi perché non si è trattato di episodio circoscritto e isolato, ma di comportamenti iniziati nell’aprile 2009 e reiterati per ben due mesi fino al raggiungimento da parte della minorenne degli anni 14 (20 giugno 2009)». Di fatto, sentenze diverse giudicano incompatibile l’attenuante speciale della minore gravità con la reiterazione degli episodi. «Oltre alla mancata valutazione della reiterazione nel tempo – prosegue il sostituto procuratore Elio Fioretti – della violenza sessuale il giudice di merito ha anche omesso di prendere in considerazione le modalità dell’azione, cioè i comportamenti posti in essere per soddisfare il desiderio erotico (spinte e pressioni sulla persona per metterla con le spalle al muro); per questo aspetto della condotta vedasi quanto dichiarato dalla persone offesa. Dalla violazione dei parametri sulla gravità del reato è scaturito di conseguenza anche il vizio di motivazione (di illogicità) nonché l’erronea applicazione della diminuzione di pena per l’ipotesi di minore gravità». Altra contestazione, è la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. «La motivazione della sentenza, inoltre, appare illogica e contraddittoria, laddove da un lato la Corte fa proprio e condivide il ragionamento del primo giudice nella individuazione della pena irrogata a motivo della particolare gravità del fatto desunta dalla circostanza che ha agito avvalendosi della sua posizione di autorevolezza in quanto guida spirituale della comunità parrocchiale e dall’altro considera di minore gravità la complessiva condotta del sacerdote, accogliendo la richiesta di riduzione della pena, facendo leva sulla considerazione, tratta dal narrato di Giada Vitale, di modalità dell’approccio sessuale mai fisicamente violenti o forti. In realtà Giada Vitale, con l’audizione disposta davanti alla Corte, ha pienamente confermato la testimonianza resa in primo grado, secondo cui gli approcci sessuali sono avvenuti attraverso spinte contro un muro della sacrestia. Le descritte modalità di condotta non appaiono affatto spontanee bensì furono poste in essere da don Marino esercitando sulla vittima una significativa forza fisica, finalizzata al soddisfacimento sessuale. Sotto questo profilo la motivazione della sentenza risulta anche difforme dalle dichiarazioni rese da Giada Vitale nei due gradi di giudizio. La Corte, per giustificare la riduzione della pena per l’ipotesi di minore gravità, ha fatto leva sul coinvolgimento sessuale e amoroso che avrebbe legato la ragazza al prete, al punto di far credere alla stessa di essere innamorata; anche questo passaggio della motivazione non appare pertinente. Né può rendere meno gravi i fatti contestati il consenso agli approcci sessuali da parte della parte offesa atteso che questo assume una rilevanza assolutamente marginale ai fini della graduazione della intensità della lesione patita dalla vittima. Un altro aspetto, infine, di illogicità della sentenza riguarda il diniego delle attenuanti generiche per la gravità dei fatti e contestualmente il riconoscimento della diminuzione di pena per l’ipotesi lieve». Fioretti chiede di annullare la sentenza rinviando gli atti a un altro collegio, per un nuovo esame.

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