Il Molise è la regione che nel mese appena trascorso ha registrato la più alta percentuale di affollamento nelle carceri. È quanto evidenzia l’associazione Antigone che spiega: «Alla fine di agosto i detenuti nelle carceri italiane sono 53.921, ben 302 in più rispetto alla fine di luglio (+0,6%). Le donne 2.263, gli stranieri 17.607. Le presenze continuano dunque lentamente a crescere, ed anche il tasso di affollamento, oggi al 106,6%.
Ma la situazione è molto diversa da un luogo ad un altro. Gli istituti più affollati al momento sono Latina (202,6%), Taranto (181,1%), Imperia (171,7%) e Regina Coeli (170,3%).
Nell’ultimo mese la crescita più significativa si è registrata in Valle D’Aosta (+4,1%), in Trentino-Alto Adige (+4,0%) ed in Liguria (+2,5%).
Le regioni più affollate sono il Molise (138,8%), il Friuli-Venezia Giulia (131,9%), la Puglia (129,1%) e la Liguria (128,8%).
Con l’aumento dei casi di coronavirus che stiamo registrando in Italia nelle ultime settimane è importante che anche sul carcere l’attenzione continui a rimanere alta e, soprattutto, che le politiche deflattive non vengano messe da parte.
Ad oggi ci sono ancora circa 7.000 detenuti in più della capienza effettiva e in molti istituti il distanziamento sociale, fondamentale per prevenire i contagi da Covid-19, è di difficile attuazione».
Sul fronte dei contagi alla fine di luglio, i dati sul Covid nelle carceri sono piuttosto confortanti. I casi di detenuti positivi, in totale, sono stati 287 anche se in alcune realtà (Saluzzo, Torino, Lodi con trasferimento a Milano), Voghera, Piacenza, Bologna e Verona si sono sviluppati cluster di un certo rilievo che sono stati efficacemente contenuti. Quattro le vittime della pandemia tra i carcerati, due tra gli agenti di polizia carceraria e due tra i medici penitenziari. Ma l’impennata di fine agosto preoccupa anche negli istituti penitenziari.
Antigone ha gettato uno sguardo approfondito su una trentina di carceri sparse in nove regioni che ospitano il 44% del totale dei detenuti. L’idea è quella di cominciare a verificare cosa succede nei nostri istituti di pena in una fase 2 in cui, con le dovute attenzioni, si dovrebbe tornare alla normalità. Se sono ripresi i colloqui, se continuano le videochiamate (importante novità in parte figlia del lockdown), se il carcere è tornato ad aprirsi alle attività (scolastiche, sociali, culturali ecc.) provenienti dall’esterno. Ne esce un quadro interessante non privo di criticità.
Il tema dei detenuti che si tolgono la vita in carcere, resta devastante. In prigione il suicidio ha una frequenza di 13,5 volte superiore rispetto all’esterno (8,7% contro 0,6%). Nel 2019 si sono uccisi 54 detenuti. Al primo agosto del 2020 i suicidi sono già 34 con una proiezione su base annua che sembra destinata a superare il dato dell’anno scorso. Si uccidono detenuti di tutte le età (molti giovani), di tutte le provenienze e in tutti i carceri.

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