La sua personale Via Crucis, papà Mario, l’affronta ogni giorno, da quella maledetta notte in cui Romina è stata assassinata dal suo ex fidanzato. E ieri, l’ha rivissuta di nuovo nell’aula del Tribunale di Frosinone.
Terza udienza in Corte d’Assise per il processo a carico di Pietro Ialongo, detenuto nel carcere della città ciociara e alla sbarra per omicidio volontario aggravato dalla coabitazione e stalking.
Anche ieri mattina, Mario De Cesare ha affrontato con coraggio e tanta dignità la discesa veloce, quasi in apnea, in quel buco nero, scavato da un gesto orribile.
L’abisso del dolore riavvolge ancora il nastro e lo riporta a quei giorni.
Assieme al suo legale, l’avvocato Danilo Leva, al collega Fiore Di Ciuccio che assiste l’altro figlio, Mario affronta di nuovo l’assassino di Romina, uccisa con 14 coltellate nella notte tra il 2 e il 3 maggio dello scorso anno. In aula anche l’avvocato Maria Calabrese, parte civile per l’associazione Liberaluna e i legali di Pietro Ialongo, gli avvocati Vincenzo Mercolino e Riccardo Di Vizio. C’è anche il papà dell’assassino reo confesso.
Nella stessa aula, Mario e Pietro.
Gli sguardi forse non si incrociano, Mario porta sulle spalle, e nel volto segnato da giorni infiniti, il peso di un dolore che chiede risposte.
Giustizia. Solo giustizia.
I giudici ascoltano la testimonianza dei carabinieri di Sabaudia allertati, la mattina del 3 maggio scorso, da alcuni passanti che segnalavano la presenza, sulla spiaggia, di un uomo mezzo nudo che pronunciava frasi farneticanti.
Si tratta di Pietro Ialongo, scappato dall’appartamento di via del Plebiscito a Frosinone subito dopo l’omicidio della sua ex fidanzata, consumato qualche ora prima.
In Aula la ricostruzione della scansione temporale delle fasi successive all’omicidio volontario, aggravato dalla circostanza che i due – Pietro e Romina – vivessero ancora insieme:
Romina cercava una nuova casa, ne aveva parlato con i proprietari dell’appartamento dove aveva ancora le sue cose e dove aveva vissuto, con amore e felicità, la sua storia con Pietro. Iniziata quando erano due ragazzi e scivolata via quando i sentimenti avevano ceduto il passo ad altro, ad un affetto profondo e al rispetto che Romina avvertiva nei confronti della sofferenza che quell’uomo, però, manifestava atteggiamenti persecutori nei suoi confronti. Arrivando perfino a filmarla mentre dormiva, ad infierire con le parole, ad assillarla per quell’amore finito e di cui non si faceva capace.
L’escalation trova il culmine il 26 aprile, sei giorni all’assassinio: 218 sms in poche, escludendo i messaggi via Whatsapp e le telefonate. Quello stesso giorno Romina torna a casa ma non riesce ad entrare: chiama il 112, racconta che l’uomo con il quale condivide la casa, il suo ex compagno, le impedisce di entrare. Chiede aiuto. Ma, cinque minuti dopo, ricompone quel numero e chiede di annullare la richiesta. Pietro le apre la porta di casa, un gesto che segnerà il destino.
Sei giorni dopo, le 14 coltellate. E poi la fuga in auto sul lungomare pontino, l’arrivo dei carabinieri, le visite al pronto soccorso, il fermo.
Piero Ialongo non confessa subito l’omicidio. Ai carabinieri, ed è emerso nel corso dell’udienza di ieri, racconta di un litigio con la sua fidanzata.
Poi, al Pronto soccorso dove viene accompagnato per essere sottoposto ad accertamenti medici anche per consentire la valutazione dei graffi sul collo che da subito insospettiscono i carabinieri, si assume la paternità del gesto. Ha già appreso che Romina è morta, che quelle 14 coltellate non le hanno lasciato scampo.
Confessa tutto nel corso dell’interrogatorio avvenuto nella notte, alla presenza dei pm di Latina e di Frosinone e dell’avvocato difensore nominato d’ufficio.
Tutti frame di un film dell’orrore, per Mario De Cesare, stretto nel suo dolore e consapevole che solo la giustizia potrà restituire un po’ di pace a quella figlia uccisa e lasciata agonizzante sul pavimento di casa.
Tutti momenti cristallizzati dalle deposizioni dei carabinieri ai quali Pietro Ialongo non avrebbe fatto alcun cenno dei tentativi di suicidio che poi avrebbe ‘dichiarato’ di voler commettere. Addosso, Ialongo, ha solo quel bigliettino con il quale, di fatto, confessa il delitto – non volevo ucciderla, io la amo -, verbalizzando di essere l’autore dell’omicidio solo dopo aver appreso della morte della sua ex fidanzata.
Ieri mattina acquisita anche la perizia autoptica: 14 coltellate, quella fatale al cuore. Romina presa alle spalle non appena rientrata nell’appartamento. Il tempo di togliere le scarpe, all’ingresso dell’abitazione, e poi le prime coltellate, che la colpiscono all’addome. Il tentativo di difesa della giovane, che riesce a divincolarsi, che guarda in faccia il suo assassino, che non ha più i tratti del viso dell’uomo che ha amato: i fendenti le colpiscono le braccia, le mani. Poi Pietro ha la meglio, riesce a buttarla a terra e la colpisce fino a quella coltellata mortale.
La lascia sul pavimento, si lava le mani nel bagno ed esce di corsa, sbattendo la porta.
Urla, silenzio e rumori puntualmente ascoltati dai vicini di casa, gli studenti cinesi che hanno ricostruito nel corso dell’incidente probatorio quei drammatici minuti.
Prossima udienza il 7 giugno e sarà un altro calvario per papà Mario: gli ultimi mesi della vita di Romina al centro della testimonianza della zia che vive in Francia. Ieri è stato prestato il consenso all’acquisizione della sua testimonianza, per evitarle di affrontare il viaggio in Italia con tutto quel carico di dolore che ne è bagaglio ormai.
Quella zia, un riferimento di vita per Romina che aveva perso la mamma per un brutto male: a lei confida gioie e dolori. A lei consegna quel diario non scritto della tragedia che poi avrebbe vissuto quella notte.
Gli atti persecutori che Pietro le infligge, la sua presenza ossessiva, quelle modalità di mostrarle amore che invece sono l’anticipazione dell’ultimo atto. Quello che Pietro scrive per lei nella notte tra il 2 e il 3 maggio.
Qualche ora prima che lei potesse partire, lasciarlo per sempre e tornare a casa da papà Mario.
ls

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