Si avvicina il trentennale della strage di Capaci e l’attualità giudiziaria porta dritto alla nomina del nuovo Procuratore nazionale antimafia, Melillo. Attualità che abbiamo approfondito con il professor Vincenzo Musacchio.
Professor Musacchio, ancora una volta il Csm ha scelto un procuratore nazionale antimafia diverso da quello che avrebbe avuto i favori dell’opinione pubblica, senza nulla togliere al giudice dottor Melillo. Cosa ne pensa lei in merito?
«Come ho già detto su Rai News se fossi stato membro del Csm, avrei votato per Gratteri poiché l’ho conosciuto e so che è un profondo conoscitore del fenomeno mafioso e in particolare della ndrangheta, non mi posso esprimere su Melillo poiché non lo conosco. Vorrei aggiungere che le polemiche successive alla mancata nomina le ritengo inutili e dannose. Il Csm ha deciso così e occorre rispettate tale scelta che si ritenga o no condivisibile. Se ci sono state violazioni di legge esistono gli organi giudiziari da adire. Assodati tali aspetti, credo sia bene che il primo continui a lavorare bene in Calabria e il secondo svolga bene la sua importantissima funzione di coordinamento, entrambi nella stessa direzione: lottare nella maniera più efficace possibile la criminalità organizzata».
Già bocciato da Napolitano come Ministro della Giustizia nel governo Renzi, come mai Gratteri è così inviso?
«La politica, o forse una parte della stessa, probabilmente non apprezza e non condivide come opera e i suoi metodi d’indagine. Oggi è certamente il magistrato più esposto e a rischio di vita d’Italia. Troppo scomode le sue dichiarazioni e i suoi modi di fare spesso schietti e diretti. Questi aspetti probabilmente gli giocano contro».
Per la seconda volta consecutiva il ruolo è andato a chi era a capo della Procura di Napoli, c’è qualche ragione legata al contrasto della camorra?
«Non credo sia una questione di distretto, di circondario o di tipologia di mafia. Poi Napoli ha espresso, naturalmente secondo la mia opinione, il miglior procuratore nazionale antimafia di sempre: Franco Roberti. Credo la scelta di Melillo non sia legata a dove prestasse servizio o al fatto che si occupasse soprattutto di camorra».
In molti hanno accostato l’allora bocciatura ricevuta da Falcone al Csm con quella di Gratteri, si rischia la delegittimazione?
«Per quanto mi riguarda, non condivido l’accostamento e neanche i meccanismi preversi che hanno riguardato i due magistrati. Gratteri è diventato procuratore capo di Catanzaro all’unanimità. Falcone, voglio ricordarlo, fu bocciato come procuratore capo di Palermo. Sono inoltre diversi i contesti storici, politici e sociali. Il paragone non è pertinente».
Si avvicina sempre più il trentennale delle stragi di mafia, il 23 maggio si commemoreranno Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, che messaggio arriva oggi dall’antimafia?
«La forza delle mafie è direttamente proporzionale all’immobilismo della politica e all’inerzia dei cittadini. Basterebbe che lo Stato decidesse con fermezza da che parte stare e anche i cittadini tornerebbero ad avere fiducia nelle istituzioni. “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo” diceva Borsellino. Lo Stato deve decidersi in modo definitivo e fare la guerra alle mafie. In questo periodo a mio giudizio non la sta facendo o la sta facendo male. Devo però anche dire che in questo momento mi sovviene anche un pensiero di Leonardo Sciascia il quale molto acutamente sosteneva che se lo Stato italiano volesse davvero sconfiggere la mafia, dovrebbe suicidarsi! Da allora a oggi le cose non sono cambiate tanto, anzi, in alcuni casi, sono peggiorate. Il messaggio che arriva dall’antimafia quindi non è per nulla confortante».
La riforma Cartabia è indigesta e i magistrati sono pronti alla protesta, cosa andrebbe modificato?
«Come ho più volte ripetuto e in diversi consessi comincerei con il percorrere tre strade. La prima: porre rimedio all’inefficiente organizzazione del “Sistema Giustizia”. Noi italiani abbiamo i migliori magistrati d’Europa che al tempo stesso sono i peggiori in fatto di organizzazione. La seconda: ridurre l’eccessiva “criminalizzazione” di molte condotte che potrebbero essere risolte con sanzioni non di natura penale. La terza: agire sulla convenienza ad affrontare sempre il giudizio di appello che porti costantemente solo benefici al condannato. Iniziando da questi tre fattori sono certo si comincerebbe a porre rimedio anche all’eccessiva durata dei processi in Italia».
Esiste ancora il “Sistema”?
«Fino a quando non si rivedrà seriamente l’ordinamento giudiziario, il Csm e il ruolo dei magistrati c’è e ci sarà sempre il rischio che il “Sistema” esista e che addirittura si rafforzi».
Che cosa farebbe per evitare le “alchimie” del “Sistema”?
«La mia posizione in merito è nota dal 1994 agli addetti ai lavori. Sono per la discrezionalità dell’azione penale, per la separazione delle carriere, per l’inibizione totale di passaggio dalla magistratura alla politica. Credo siano riforme necessarie, pena il venir meno della credibilità nei confronti dei cittadini. Secondo me Palamara non rivela nulla di nuovo. Basta tornare ai tempi di Giovanni Falcone per capire che questi problemi esistevano già allora. Una delle soluzioni praticabili è estirpare dalla magistratura le logiche di carrierismo. Oggi ribadisco: sono per il sorteggio nella scelta dei membri del Csm. Bisognerebbe rivedere anche il ruolo dell’Anm. La vera aberrazione è nel perché un magistrato deve iscriversi a una corrente per far carriera? Il magistrato fa carriera se è bravo, autonomo e indipendente non perché è sponsorizzato».
Vincenzo Musacchio, criminologo forense, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (Riacs) di Newark (Usa). E’ ricercatore dell’alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

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