I terreni di località Masserie Lucenteforte vanno bonificati. E l’analisi di rischio spetta ai proprietari del sito inquinato nonché alla ditta che eseguì il “ripristino ambientale” negli anni ‘90. Questo ha “ordinato” ieri il Tar che si è espresso sul ricorso proposto dai titolari dell’appezzamento di terra al di sotto del quale sono stati evidentemente sversati rifiuti illeciti.
I giudici del Tribunale amministrativo regionale di Campobasso hanno pronunciato una ordinanza chiara: «I motivi del ricorso – stando a una prima delibazione – appaiono infondati».
Insomma, il Tar ha certificato che «dagli accertamenti dell’Arpa Molise emerge la presenza di inquinanti nel suolo e nel sottosuolo, in concentrazioni superiori alla soglia di rischio e tra essi vi sono contaminanti (quali piombo e idrocarburi) diversi dalle sabbie di fonderia di ghisa e acciaio e non connaturati al processo produttivo da cui sono stati generati quegli altri inquinanti (quindi, presumibilmente, apportati o sversati nel sito dopo il ripristino ambientale)».
L’istanza di sospensione cautelare è stata così bocciata perché «la specifica analisi di rischio (adr) del sito, compete ai destinatari dell’ordinanza e non all’amministrazione». E ciò, secondo i giudici amministrativi di Campobasso, in quanto «la caratterizzazione ambientale di un sito è identificabile con l’insieme delle attività che permettono di ricostruire i fenomeni di contaminazione a carico delle matrici ambientali, in modo da ottenere informazioni di base su cui prendere decisioni realizzabili e sostenibili per la messa in sicurezza e la bonifica del sito; mentre l’analisi di rischio sanitario-ambientale è lo strumento avanzato di supporto alle decisioni nella gestione dei siti contaminati che consente di valutare, in via quantitativa, i rischi per la salute umana connessi alla presenza di inquinanti nelle matrici ambientali».
Dunque, «se è vero che sul proprietario incolpevole non gravano gli obblighi di bonifica, è altresì vero che sullo stesso grava, comunque, l’obbligo di porre in essere le misure di prevenzione, protezione e prima riparazione, tra le quali si può ritenere che vi siano la caratterizzazione ambientale e l’analisi di rischio».
Di conseguenza, resta pienamente valida l’ordinanza sindacale numero 92 del Comune di Venafro datata 8 luglio 2017 con la quale è stata disposta la bonifica del sito contaminato «previa la necessaria caratterizzazione del sito e successiva presentazione di analisi di rischio sito contaminato, previa la necessaria caratterizzazione del sito e successiva presentazione di analisi di rischio sito-specifica o progetto di bonifica e messa in sicurezza».
L’area ricordiamo è stata «interessata da attività antropica illecita» con il riscontro di un livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) «superiore ai valori di cui alla tabella 1, colonna A dell’allegato 5 nella parte quarta del decreto legislativo 152/2006». Nello specifico, a seguito degli scavi eseguiti nel 2014 su ordine della Procura di Isernia dai Carabinieri e dall’allora Corpo forestale dello Stato sono stati riscontrati: «Sottosuolo – valori superiori al limite consentito per Piombo; Benzo(a)pirene; Idrocarburi pesanti (C>12) – Rame (tabella a e b); Benzo (g-h-i) terilene; Benzo (gh-l) perilene ed Indenopire; valori elevati per: arsenico; cromo; cadmio; idrocarburi pesanti; indonepirene; benzo (b+k) fluororantene; suolo – arsenico, cobalto, piombo, vanadio, tallio, benzo(g-h-i); benzene (a-h), antraceneed; indonepirene».
I ricorrenti, proprietari del terreno inquinato, avevano chiesto ai giudici amministrativi la sopensione dell’ordinanza del sindaco Antonio Sorbo in quanto sostenevano e sostengono di non avere responsabilità nella «attività antropica illecita» scaricando la “colpa” sulla ditta incaricata negli anni ‘90 del recupero ambientale del fondo oggetto dell’attuale diatriba. Tuttavia, il Tar non ha voluto sentire “ragioni” provvedendo a dichiarare “valido” l’atto impositivo del primo cittadino venafrano.
Ovviamente, adesso l’ordinanza numero 79 del Tribunale amministrativo regionale del Molise potrà essere impugnata con ricorso al Consiglio di Stato.

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