È costato molto caro al radiologo venafrano il rifiuto di recarsi presso l’ospedale per una refertazione d’urgenza. Il medico era reperibile, ma nonostante la telefonata giunta dal nosocomio decise di non andare. Oltre alla condanna penale passata in giudicata, per il radiologo in questi giorni è arrivata anche la condanna della Corte dei conti che lo ha riconosciuto colpevole di danno d’immagine ai danni della Asrem: per questo dovrà risarcire l’Azienda con 5.000 euro, «con l’aggiunta della rivalutazione monetaria dal fatto alla pubblicazione della sentenza, oltre interessi legali a decorrere dalla data di pubblicazione della presente pronuncia, ed alle spese di giudizio».
La procura aveva chiesto ai magistrati contabili di valorizzare «la gravità del fatto commesso, la delicatezza delle funzioni mediche svolte dal medico e la richiamata incidenza del fatto sul rapporto di fiducia che connota il rapporto fra amministrazione sanitaria e cittadini-pazienti, anche in considerazione della diffusione mediatica della notizia».
La vicenda nasce nel giugno 2008 allorquando un giovane cade con la bici e si reca in ospedale. Come ricostruito dalle sentenze intervenute sul caso, «il dirigente medico presente, effettuata la visita di rito, constatava, tra le altre, una ferita nella sede occipitale della testa del paziente che, sottoposto alle domande di rito, non appariva pienamente orientato. Era pertanto formulata la diagnosi di “trauma cranico di grado lieve gruppo 1”, in presenza della quale il protocollo medico richiede l’immediata esecuzione di una Tac, finalizzata a verificare un’eventuale emorragia cerebrale in corso. Eseguito l’esame e tenuto conto che la sua lettura presupponeva elevate conoscenze specialistiche, proprie del radiologo, per la redazione urgente del referto era appunto contattato il medico reperibile. Tuttavia quest’ultimo, benché il dott. […] gli avesse esposto il caso ed espressamente richiesto di recarsi in ospedale per la lettura della Tac, rifiutava di presentarsi, senza addurre alcuna giustificazione».
Da qui la condanna a 5 mesi e 10 giorni, oltre all’indennizzo alla parte civile, per rifiuto e omissione d’atti d’ufficio.
Di conseguenza, i giudici hanno avanzato l’ipotesi di come «la condotta delittuosa del convenuto, ormai definitivamente accertata, integrerebbe una lesione dell’immagine di particolare gravità, giunta nella sfera di conoscenza di un numero indeterminato di persone sia interne che esterne all’Amministrazione pubblica, in ragione della risonanza mediatica suscitata dall’episodio».
Secondo la procura contabile, il danno recato all’Asrem era stimabile nella misura di 10.000 euro, oltre rivalutazione, interessi e spese del giudizio. Un indennizzo che, come detto, alla fine è stato stabilito però nella metà, ovvero in 5.000 euro nonostante il medico «non ha reso deduzioni difensive nel termine assegnato nell’invito, né si è costituito nel presente giudizio».
Come scritto nella sentenza dai giudici della Corte dei conti, «quanto alla condotta illecita imputabile, essa, non solo risulta accertata sulla base di sentenza penale irrevocabile, ma emerge, comunque, con chiarezza dalla documentazione processuale versata in atti. Non è contestato, infatti, che il dott. […], richiesto di intervenire, nelle circostanze già richiamate, mentre era in turno di reperibilità, da un collega presente nel pronto soccorso dell’ospedale, al fine di procedere all’immediato esame di una Tac come prescritto dal protocollo medico, ha rifiutato di presentarsi senza esporre alcuna giustificazione. Il predetto comportamento ha, in primo luogo, integrato la violazione del costante orientamento giurisprudenziale secondo cui, in capo al sanitario ospedaliero, in servizio di pronta reperibilità, raggiunto dalla richiesta di presentarsi dal medico già operante nel nosocomio, non residua alcuna possibilità di sindacare la necessità e l’urgenza della chiamata».
Come sottolineato dai giudici contabili, «giova inoltre ricordare che l’istituto della pronta disponibilità, remunerata con un’indennità contrattuale aggiuntiva, consiste nell’obbligo del dipendente fuoridel proprio luogo di lavoro di rendersi sempre ed immediatamente reperibile in vista di un’eventuale prestazione lavorativa, raggiungendo nel più breve tempo possibile il presidio per eseguirvi la prestazione richiesta».
Ancora: «La lesione, collegata dal nesso di causalità materiale alla condotta del convenuto, risulta ancor più evidente nel caso in esame, in cui dalla documentazione del procedimento penale agli atti emerge che la madre del giovane ricoverato, giunta presso il pronto soccorso dell’ospedale, apprese che il medico di guardia aveva posto domande al ragazzo (che però, secondo la deposizione testimoniale, “rispondeva in modo non preciso e strano”) e che, pur essendo stata effettuata una Tac urgente, il referto non avrebbe potuto essere redatto nell’immediatezza, perché il radiologo “è stato chiamato ma non è venuto”. Risultano del pari eloquenti le testimonianze dei sanitari sentiti nel procedimento, in primo luogo del dirigente medico, dott. […], il quale, constatati i rischiosi sintomi mostrati dal ricoverato, chiese il supporto qualificato dello […], apprendendo che quest’ultimo non sarebbe venuto in assenza di alcuna giustificazione».
Va detto che, dal canto suo, il medico ha provato in sede penale a difendersi dalle accuse, senza trovare però “clemenza” fino alla Cassazione malgrado abbia sempre sostenuto che «non vi era alcuna urgenza ovvero indifferibilità di intervento; che gli accertamenti radiologici erano stati eseguiti e restava da effettuare la sola refertazione; che nessun rifiuto vi era stato da parte sua, avendo i due sanitari discusso e valutato insieme la stato del paziente in esito alla visita eseguita ed agli esami tecnici prontamente effettuati con semplice differimento della loro refertazione; che si era trattato di una sola chiamata, chiamata mai reiterata».

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