Scrivania affollata di fascicoli, una breve pausa caffè che è ancora primo mattino. Tra i dossier una relazione recentissima e scottante sulla sanità. Donato Toma festeggia il primo mese da presidente della Regione concentrato su alcuni progetti: quelli che intende come punti chiave del suo mandato.
Il governatore del Molise eletto il 22 aprile è stato giornalista. Un dato biografico finora sconosciuto ai più. «Sono stato pubblicista, sì. Nel 1986 ero redattore a RotoMolise. Passai poi a Molise Oggi finché non fu ceduto». Una vita professionale poliedrica. Attualmente commercialista, è stato amministratore a Campobasso e Bojano, dove si è occupato da assessore esterno del bilancio. Per dieci anni (dal 1977 al 1987) funzionario del ministero delle Finanze ed è stato carabiniere. «Carabiniere lo sono rimasto per tutta la vita – anzi dice – perché quei valori li fai tuoi». All’Arma arrivò vincendo un concorso mentre faceva il militare nell’artiglieria dell’Esercito. Prima nomina da ufficiale dei Carabinieri, Chieti. Si congedò col grado di tenente.
Presidente, oggi (8 giugno, ndr) è un mese esatto dall’insediamento. Come è stato questo mese? Si è fatto un’idea della Regione?
«Il quadro ce l’ho. La Regione va completamente riorganizzata come struttura. Sto studiando la composizione migliore. Abbiamo quattro dipartimenti, la direzione generale della Salute e alcuni servizi che dipendono direttamente dalla presidenza, come la logistica e la centrale unica di committenza. Per l’idea che ho io di Regione la ‘macchina’ va riorganizzata. Lo sto facendo. C’è una sovrapposizione di competenze, di servizi, tant’è che a volte non riusciamo a capire chi fa cosa. Questo ci crea difficoltà anche con le deleghe degli assessori: abbiamo verificato che talvolta le competenze si accavallano».
Qual è la sua idea di Regione?
«È quella di un’azienda che deve produrre servizi per la collettività. Semplicemente. Raccogliere le esigenze dei Comuni, dei molisani e cercare di trasformarle in servizi che le soddisfino. La prima esigenza che abbiamo è quella del lavoro. Qui c’è una brutta abitudine: quella di cercare lavoro nella Regione Molise, invece la Regione deve offrire le migliori condizioni perché il lavoro lo portino le imprese. Noi non dobbiamo dare lavoro, dobbiamo far sì che arrivino in Molise occasioni di lavoro, attraverso le aziende».
Ha fatto cenno alle deleghe, prevede altri aggiustamenti al riguardo?
«No, perché voglio testare gli assessori da qui a sei mesi. La struttura, invece, la testerò da qui a un anno. Prevedo di fare delle variazioni ai vertici dei dipartimenti e di riconsiderare queste variazioni ogni 12 mesi. Valorizzerò professionalità interne che sto osservando. I cambiamenti che ho in mente sono necessari per far sì che la struttura sia quanto più confacente all’idea che ho di Regione. Una visione che è di efficienza, di riduzione dei tempi burocratici, di attenzione per gli ultimi e di produzione di occasioni di lavoro, non di lavoro diretto».
Un onore, ha detto, essere presidente. Ma anche un onere. Lei sente questo peso?
«È un onere perché tutto quello che succede nel territorio molisano viene ricondotto nel bene o nel male al presidente della Regione, sia che lui c’entri qualcosa sia che non c’entri. È visto come il baluardo per la difesa dei deboli ma anche come il responsabile per gli insuccessi che a volte arrivano».
Quali sono le questioni più impellenti da risolvere?
«I pagamenti alle imprese, sto cercando con tutte le mie forze di accelerarli. Per la verità nel primo mese sono riuscito a sbloccare circa 7 milioni. Nel giro di qualche giorno, spero prima delle ferie, dovremmo avere disponibilità di altri 13. Li abbiamo richiesti per la ricostruzione».
Area di crisi complessa: come si muoverà?
«Anche in questo caso, come pure sul Patto per il Molise, ho dato un’accelerata. Ho chiesto a Sviluppo Italia di assistere la Regione nella produzione dei bandi. Prima della fine dell’estate ne pubblicheremo altri per le imprese. Riguardo al sistema produttivo, il modello per me è quello degli accordi di programma con le grandi imprese che vogliono atterrare nel nostro territorio. Perciò l’area di crisi è un’occasione unica per questa terra».
Ha intenzione di rivedere qualcosa?
«Ovviamente non basta avere l’area di crisi per far arrivare le imprese. Nell’area di crisi hai una serie di agevolazioni e sgravi, contributi del governo e cofinanziamento della Regione. Tenga presente che noi non abbiamo possibilità di cofinanziamento nel nostro bilancio, il nostro cofinanziamento sarà ‘in natura’. Pensiamo a un accordo di programma in cui la Regione snellirà le pratiche burocratiche: non 90 giorni di attesa per le imprese ma 15, per esempio. Abbiamo poi un problema legato al forte indebitamento dei nuclei industriali. Ma questa è un’altra storia. Magari ne riparleremo più in là».
L’altro ieri ha incontrato il comandante regionale dei Vigili del fuoco. La stagione estiva è di grande impegno per il Corpo e per la Regione.
«Sì. Abbiamo varato il piano antincendi boschivi, chiedendo collaborazione ai Vigili del fuoco e ai Carabinieri forestali. È stata inoltre espletata e aggiudicata la gara per l’elicottero antincendio. Dal 15 giugno fino alla fine della stagione di massima allerta ce ne sarà uno di stanza a Campochiaro».
Tra le iniziative che lei eredita c’è l’integrazione fra il Cardarelli e la Fondazione Giovanni Paolo II. A che punto siamo e lei come la pensa?
«Innanzitutto siamo al punto che sulla bozza di convenzione inviata a Roma i ministeri dell’Economia e della Salute hanno dato un parere sostanzialmente negativo. Mi spiego meglio.
C’è una convenzione fra le due strutture che fissa cosa fa ognuna delle strutture in termini di prestazioni e c’è un accordo a parte dove si stabilisce che il Cardarelli dovrebbe occupare una parte della Fondazione, addirittura costruire su un terreno adiacente alla Fondazione un suo ulteriore plesso, e la Fondazione continuerebbe a restare sull’altra parte di edificio. Che è dell’Università Cattolica. Quindi l’Ateneo lo concede con diritto di superficie al Cardarelli e alla Fondazione. Le due strutture restano autonome fra loro. I Ministeri con una nota del 20 aprile (due giorni prima del voto, ndr), mi dice la struttura regionale in una relazione che ho ricevuto ieri (giovedì, ndr), hanno espresso una posizione parzialmente difforme da quello che avevano prima condiviso. Comunque hanno formulato rilievi che mettono in dubbio l’intero progetto. Questi rilievi, senza farla troppo lunga, riguardano il personale, la gestione del rischio clinico riguardo a quanto previsto nella bozza di convenzione, quindi l’erogazione delle prestazioni. In linea generale, le integrazioni realizzate attraverso convenzioni non mi piacciono e le spiego perché: la convenzione, bene che vada, non riesce mai a chiarire tutti gli aspetti del problema, poi c’è autonomia delle due strutture, ognuno si organizza come vuole. Non lo so se può funzionare».
Il progetto quindi va rivisto. Perché lo chiedono i Ministeri e perché il presidente, che ha la delega alla Sanità, non è convinto?
«Anche, certo. Io non sono convinto di quel progetto. L’integrazione tra Fondazione e Cardarelli è utile per la sanità molisana però deve avere una base forte, non basta una convenzione, un accordo. Ci deve essere una struttura che sia la regia, ad esempio di tipo consortile. Il Cardarelli entra in un consorzio insieme alla Fondazione Giovanni Paolo II, il consorzio ha un’unica governance, si stabilisce un’organizzazione guidata da un unico consiglio di amministrazione a prevalenza pubblica – penso a un presidente ‘pubblico’, un consigliere pubblico e uno privato – perché la Fondazione, se si integra con il Cardarelli, svolge un servizio a rilevanza pubblica. Non fanno business. Ogni azienda che dà prestazioni al consorzio ospedaliero deve essere remunerata secondo le tariffe stabilite dal sistema sanitario nazionale e regionale. In genere poi le strutture private hanno un’efficienza maggiore rispetto alle strutture pubbliche, quindi la Fondazione farà da traino sotto questo profilo, ma la governance deve essere una: un unico Cda che regola i rapporti consortili. Poi, l’ospedale della Cattolica vuole fare senza convenzione (ad esempio) la medicina estetica? La fa senza problemi ma quella prestazione non entra nel consorzio. Quello che è in convenzione si fa con una governance prevalentemente pubblica. È lo stesso problema che abbiamo con l’acqua. I comitati hanno protestato perché non vogliono che l’Egam appalti a un privato la gestione…».
Pubblico contro privato: una guerra che quindi secondo lei non ha motivo di esistere.
«Per il paziente, la sanità è ‘unica’. Non fa differenza se riceve il servizio in una struttura convenzionata o pubblica, il servizio però deve essere il migliore possibile ovunque erogato. Quindi, nulla osta all’integrazione purché la governance sia pubblica perché ciò che produciamo è un servizio pubblico. Se il progetto andrà a buon fine, non avremo neanche bisogno di un Dea di II livello perché abbiamo già i reparti, il personale avrà un contratto unico perché il consorzio sarà pubblico, i primari saranno inquadrati nel consorzio. Un consorzio ospedaliero. Questa è l’idea. Bisogna poi vedere se il tavolo romano la accetta. L’obiettivo è che i livelli essenziali di assistenza siano garantiti a tutti i molisani ovunque approccino al servizio pubblico, chiunque lo produca. Sul territorio abbiamo eccellenze pubbliche e eccellenze private, se le mettiamo a sistema avremo una sanità eccezionale. Solo così possiamo ridurre la mobilità passiva e incrementare quella attiva. E ci autofinanziamo».
Ha tenuto per sé anche il bilancio e ci sono già i primi provvedimenti.
«Lunedì scorso con delibera di giunta abbiamo eliminato circa 85 milioni di residui attivi, crediti che la Regione aveva iscritto in bilancio, insussistenti, inesigibili. Di questi, 12 milioni sono i bolli auto prescritti dal 2000 al 2007. Li abbiamo perduti e non sono gli unici (e in bilico la partita per il periodo 2008-2012, ndr). Tirando le somme, oggi abbiamo un disavanzo di circa 500 milioni di euro. Significa che le uscite più i debiti sono maggiori delle entrate più i crediti»
Come si risolve?
«Tagliando la spesa, incrementando al massimo le entrate con il recupero dell’evasione e delle mancate riscossioni, utilizzando al meglio i fondi comunitari».
Qual è la situazione per i fondi comunitari?
«C’è un grave arretrato nella spesa, per questo stiamo accelerando l’emissione dei bandi per le imprese. Sul Fesr ci sono 32 milioni da far ricadere sul territorio entro il 31 dicembre, siamo stati invitati dal governo ad accelerare le procedure. Inoltre, sto seguendo costantemente il negoziato in corso tra Roma e Bruxelles sul posizionamento della Regione Molise in relazione agli obiettivi di sviluppo in cui ci colloca l’Unione Europea. Lo scopo è quello di partecipare al meglio alla ripartizione delle risorse. Nelle prossime settimane mi recherò a Bruxelles, unitamente ai miei tecnici, proprio per seguire più da vicino il posizionamento strategico del Molise».
In sintesi, un primo mese di lavoro intenso.
«C’è molto da fare, sappiamo come farlo, dobbiamo affilare gli strumenti e ci stiamo lavorando.
I primi 30 giorni sono stati ‘in accelerazione’. Le idee ci sono, la voglia è tanta e non mancano le professionalità: mi riferisco alla parte politica e alla struttura. Cambiare le cose si può e sono convinto che ce la faremo».

luca colella

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