All’ospedale Veneziale il diritto alla vita e quello alla morte si scontrano senza soluzione. I ginecologi in servizio al nosocomio pentro sono tutti obiettori di coscienza. Non solo. Anche anestesisti, ostetriche e infermieri sono ‘contrari’ all’aborto, situazione che impedisce l’applicazione della legge 194.
Da anni ormai il presidio sanitario pubblico di Isernia non effettua l’interruzione volontaria della gravidanza. Il personale non se la sente di mettere in pratica un intervento che ‘eticamente’ non rientra nei loro principi, nonostante sia regolamentato da una legge dello Stato arrivata dopo anni di battaglie femminili.
«Non si può costringere nessun professionista a fare pratiche su cui non è d’accordo», sostiene Flavio Giannini, primario del reparto di ginecologia dell’ospedale di Isernia, che spesso si è trovato ad affrontare il problema, dovendo rispondere a specifiche istanze di diverse donne che si sono rivolte alla struttura pubblica.
«Da almeno quattro o cinque anni in ospedale non si pratica l’interruzione di gravidanza – ha spiegato il medico -. Le pazienti che chiedono informazioni vengono indirizzate al Cardarelli di Campobasso, dove l’unità operativa è attrezzata per questo. In passato, a Isernia, l’interruzione si è fatta a fasi alterne, in quanto è una procedura molto pesante per chi la effettua, oltre che per chi la subisce. È complessa dal punto di vista emotivo e organizzativo».
Lo stato di cose dell’ospedale pentro induce alla riflessione sulla possibilità che aumenti il fenomeno nascosto della clandestinità. Non è un segreto che molte donne che considerano indesiderata la loro gravidanza, finiscano per affidarsi a cliniche o studi che non dichiarano ufficialmente quel tipo di attività.
Nel reparto di ginecologia del capoluogo regionale l’aborto viene praticato nel rispetto delle norme, quindi anche della privacy. Il ginecologo Michele Mariano è l’unico specialista in Molise non obiettore (Repubblica ha riportato recentemente una sua intervista). Alcune donne però – come ha dichiarato lo stesso Mariano – si dirigono direttamente fuori regione, terrorizzate dall’essere giudicate o riconosciute.
L’ospedale San Camillo di Roma, al centro delle recenti polemiche per il concorso bandito dalla Regione Lazio, rivolto ai ‘non obiettori’, è uno dei presidi che viene consigliato a quelle pazienti molisane determinate a mettere in atto la loro decisione.
«Si fa prima un incontro in consultorio –ha spiegato ancora Giannini – La donna incinta sostiene un colloquio con uno psicologo e con diversi medici, ma se la decisione permane si consiglia la struttura migliore che svolge quella pratica. Siamo sempre in contatto con i centri delle altre regioni. Le interruzioni di gravidanza oltre una certa settimana richiedono una terapia prolungata nei giorni, quindi c’è bisogno di un determinato numero di operatori sanitari. Il San Camillo è uno degli ospedali a cui noi ci rivolgiamo e conosciamo bene la situazione che si è creata in questi giorni».
La polemica ingeneratasi dopo il concorso fortemente sostenuto dal presidente Nicola Zingaretti, ha indotto il governatore del Molise a interrogarsi sul punto.
Il presidente Paolo Frattura potrebbe allinearsi alla decisione del collega laziale, considerando che il 93,3 percento dei ginecologi operanti sul territorio regionale è obiettore di coscienza.
Il Molise, sulla base dei dati del ministero della salute, risalenti ad aprile 2016, è al primo posto della graduatoria italiana e per questo è finito ancora una volta al centro delle cronache nazionali.
«Ci sono due diritti: quello della donna e quello del medico che può porre obiezione e questo non è gestibile in maniera semplice – il commento del primario isernino -. Se ci si attiene alla procedura c’è poco da fare e io credo che il diritto della donna vada affrontato a livello centrale. Molti punti della legge 194 non vengono applicati, poiché tale norma non prevede solo l’interruzione di gravidanza, ma anche tutto il percorso che si deve fare con la donna, per fare in modo che rifletta approfonditamente sulla sua scelta.
È chiaro che il governatore della Regione ha la facoltà di intervenire in qualche maniera. Zingaretti lo ha fatto, ha le sue ragioni perché deve fornire quel servizio, ma l’obiezione di coscienza non può essere un criterio di merito per un concorso. Il presidente dell’ordine de medici ha chiesto un incontro dopo quello che è successo al San Camillo. La ministra Lorenzin così come i medici cattolici non sono d’accordo. La problematica, ripeto, va affrontata a livello nazionale.
L’obiezione prevede l’astensione a prescindere dalle motivazioni, ma tutti noi ovviamente aiutiamo la paziente e la seguiamo nei passi che deve fare».

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