«Incarico importante, poiché è l’anello di passaggio tra la direzione generale e l’ospedale. Dobbiamo lavorare in maniera assolutamente congiunta e concorde per le cose che sono necessarie per affrontare questa situazione di pandemia, in attesa che ci sia poi un direttore sanitario di ruolo». Sono queste le prime parole dell’intervista al neo direttore sanitario facente funzioni dell’ospedale San Timoteo, Gianni Serafini. Lo stesso medico, primario di Otorinolaringoiatria in viale San Francesco, ha sottolineato come l’input dato dalle risultanze dell’ispezione ministeriale dello scorso gennaio è stato subito raccolto e sono in piedi i bandi per selezionare i nuovi direttori sanitari delle tre Uoc di San Timoteo, Cardarelli e Veneziale. «Il concorso già bandito darà poi una stabilità nel tempo a questo ruolo». Poi, si entra nel vivo della gestione epidemica. «La situazione per fortuna sta migliorando – conferma Serafini le parole già dette dal collega del Pronto soccorso Nicola Rocchia pochi giorni fa – questo per noi è conforto e soddisfazione, ma non bisogna assolutamente abbassare la guardia. Cercare di minimizzare o dare dei messaggi troppo ottimistici in questa fase sarebbe un errore gravissimo. Potremmo ritornare alla situazione di un mese e un mese e mezzo fa anche nell’arco di soli 3 giorni. Adesso le cose vanno benino, ma questo non significa che possiamo ricominciare a fare le cose come ci pare. E’ un messaggio che io mando alla popolazione, a tutti quanti. Tenete molto alta la guardia, tutti quanti. Perché tornare a come eravamo un mese fa non ci vuole assolutamente niente». Concetti rafforzati sulla necessità di osservare scrupolosamente le normative anti-Covid, da parte di Serafini, anche alla luce di quello che sta avvenendo sulla costa dall’uscita della zona rossa in poi. Poi, si entra nel vivo del nuovo incarico: «Le indicazioni provenienti dalla direzione generale sono quelle di rendere Covid free il San Timoteo – rivela Serafini – sperando di evitare nuovi picchi, noi dovremmo cercare di tornare all’assistenza normale e fondamentale di tutti gli altri malati, perché non dobbiamo dimenticare come le altre malattie continuano, le patologie tempo-dipendenti, quelle oncologiche, e anche quelle più ordinarie, devono essere affrontate ed è la missione che questo ospedale deve avere. Nel tempo, ovviamente, e sempre con l’atteggiamento dinamico che ci deve essere. Se succede qualcosa di nuovo ci dobbiamo far trovare pronti a modificare le nostre strategie e i nostri sistemi di osservazione e di cura, per adeguarle alle esigenze che possono emergere. La cosa che diciamo oggi tra 15 giorni potrebbe non valere più. Per questo massima prontezza a realizzare eventuali cambiamenti in corsa, che sono fondamentali per assistere al meglio i malati. Mi rivolgo ai giovani: capisco che le restrizioni ormai in vigore da un anno sono dure, come lo sono anche per gli anziani, o per tutta la popolazione. Siamo tutti stanchi. Ma noi dobbiamo guardare alla prospettiva di risoluzione, che è quella del vaccino. Dobbiamo tenere duro ora, fare sforzi ulteriori; questi altri mesi in cui dobbiamo stare attenti, un’attenzione che però non deve nascere solo dai controlli promossi dalle forze dell’ordine, deve nascere da noi stessi, dalla coscienza che ogni nostro atto possa essere foriero o di un miglioramento oppure anche di un peggioramento della situazione. Un 14enne, un 60enne, una persona di qualunque età, deve sapere in coscienza che il suo gesto è un impegno sociale, un obbligo verso tutta la comunità. Siamo stati travolti da questa pandemia, sono state adottate delle scelte di fatto obbligate, e questo ospedale, che ha delle potenzialità importantissime, che aveva anche prima del Covid, è stato rivalutato e per quello che io ho visto, con grande soddisfazione. Abbiamo della gente che si è veramente prodigata, ben al di là degli obblighi di natura istituzionale o contrattuale, per curare al meglio questi malati. Io credo che questa attenzione, questo impegno che ci sono stati, ha dato anche un senso della importanza del San Timoteo. Anche della fiducia che sperò potrà essere accordata alla struttura e al personale, una volta che usciremo fuori dal tunnel della pandemia a livello regionale». Infine, abbiamo chiesto al dottor Serafini quanto inciderà la sua esperienza personale in questa mission: «Resta come una cicatrice indelebile, dentro di me e nel mio modo di approcciare a questi problemi. Purtroppo chi ha avuto questa malattia e l’ha avuta in modo significativo ha un ricordo costante di quello che ha subito, della solitudine, della sensazione di morte imminente, che ti dà questa malattia, ed è inevitabile che in tutte che le cose che fai e gli approcci che hai, con i malati e con chi si occupa di loro, ha la sua parte».

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